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La Stampa

Cibo e cultura a Pollenzo: nei grandi vini francesi radici anche religiose ... La composizione del terreno? L’esposizione al sole? La pendenza delle colline Macché. Se il Bordeaux produce grandi chateau da meditazione e la Borgogna celebri vini spensierati, la ragione è tutta da cercare tra Riforma e Controriforma. A dirlo è Jean-Robert Pitte, rettore dell’Université Paris-Sorbonne e docente di Geografia, intervenuto ieri ad un convegno che all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo ha indagato la filosofia e l’estetica del gusto tra Oriente e Occidente. I vigneti del Bordeaux sono nati nel medio Evo con la richiesta del mercato inglese e in seguito dei paesi Bassi e della Germania. Quelli della Borgogna sono legati sia ai consumatori del Ducato che da Lione si estendeva fino in Belgio, sia all’ambiente di corte dell’Ile de France, sia al papato di Avignone. “Poiché l’Europa settentrionale - dice Pitte - aveva optato per la Riforma e per un uso puritano dell’alcol, i vigneron bordolesi si sono specializzati nella produzione di vini austeri, complessi e propizi alla meditazione, privilegiando il Cabernet-Sauvignon e il Merlot”.

Al contrario, “la Borgogna ha scelto lo Chardonnay e il Pinot nero, ottenendo vini profumati e sensuali che richiamano una visione del mondo e della società più permissiva e incline al rilassamento”. Ecco allora il Bordeaux della Riforma e il Borgogna della Controriforma che ancora oggi si presentano con strategie d’immagine opposte, e conferma che la storia del vino, così come quella della tavola, è inscindibilmente legata alla cultura, all’antropologia e alla tradizione.

Concetti più volte ribaditi durante l’incontro organizzato dal Cesmeo, l’Istituto internazionale di studi asiatici avanzati di Torino, che ha riunito nell’Agenzia di Pollenzo esperti di scienze alimentari, orientalisti, filosofi e storici. La studioso francese Flora Blanchon ha spiegato che il pasto cinese è costituito da una successione di bocconi simili alle “madeleines” di Proust: “Si inizia con una portata molto salata per risvegliare il palato e poi si prosegue riducendo le dosi, fino ad arrivare all’ultima zuppa senza neppure un granello di sale. L’insipido è un sapore filosofico pressoché sconosciuto alla cultura occidentale.

Le bacchette, poi, allontanano dalla tavola tutto ciò che esprime aggressività, come coltelli e forchette, e - ha ricordato Stefania Stafutti ripercorrendo le fonti letterarie che celebrano la civiltà della tavola orientale si impugnano allo stesso modo di una penna o di un pennello. E se l’olfatto, nella tavola cinese, è più importante della vista, in Giappone l’estetica del piatto è fondamentale: lo ha spiegato Aldo Tolini ripercorrendo le “Istruzioni a cuoco zen” scritte nel Duecento dal maestro Dogen. “Maneggia ogni ingrediente con rispetto, ma come si cucina”. Anche se Lionello Panciotti - ha ricordato - che nel mondo solo tre popoli italiani, francesi e cinesi sono riusciti a sviluppare una vera e propria arte culinaria: “Tutti gli altri hanno solo dato da mangiare alle loro genti”. (arretrato de "La Stampa" del 4 giugno 2005)

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