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La Stampa

La flavescenza nemica oscura dei viticoltori ... Le foglie ingialliscono lungo le nervature e si accartocciano, i tralci della vite non lignificano e rimangono molli come se si trattasse di gomma, i grappoli si asciugano rimanendo privi del prezioso succo. Sono i temuti sintomi della flavescenza dorata, malattia della vite che agita il sonno dei vignaioli italiani dannandone l’esistenza.

L’epidemia ha fatto la sua prima comparsa nel sud delle Francia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, per poi diffondersi gradualmente all’intero continente. Oggi interessa con varia intensità un po’ tutte le aree vinicole intorno al 45° parallelo. Responsabile della diffusione è un piccolo insetto, una cicalina chiamata Scaphoideus Titanus che, succhiando la linfa della vite, inocula nella pianta la malattia, scatenata da un fitoplasma, e la trasmette tra i filari.

Il problema è rimasto oscuro per anni, ora se ne conoscono le cause e si è ricostruito in modo preciso il modo in cui si propaga nell’ambiente. Non sono pochi, però, gli aspetti attorno ai quali ancora si brancola nel buio. Non si capisce perché solo in alcune zone si manifesta con grande virulenza e, soprattutto, soluzioni certe non ne sono ancora state trovate. Quando la malattia compare non c’è alternativa: bisogna estirpare la pianta. Così accade che è sempre più frequente vedere ampi buchi interrompere la regolarità dei filari sulle colline vitate.

Per gli agricoltori è una maledizione. Costretti a sostituire le vecchie viti con nuove barbatelle, si trovano a lavorare in un ambiente disomogeneo, irregolare, il che rende più faticosa ogni attività in vigna. Oltretutto, i problemi non si fermano qui: è un dato di fatto che a essere più colpite sono le viti più giovani e può accadere che, dopo un lungo lavoro di sostituzione, anche la nuove barbatelle manifestino la malattia. Per i piccoli produttori, fiaccati da una situazione di mercato non proprio favorevole è la condanna definitiva. Il problema è diffuso, nessun vivaio è in grado di offrire garanzie e in molti sono assaliti dal dubbio se reimpiantare o abbandonare la coltura al proprio destino.

Per porre un rimedio, si è cercato di eliminare ogni possibile focolaio imponendo la bonifica dei terreni incolti dove sono rimaste delle viti. Inoltre, nelle aree più colpite, la legge prescrive trattamenti insetticidi obbligatori, fino a due o tre all’anno, in modo da limitare la diffusione delle cicaline portatrici della malattia. Purtroppo, dopo i risultati apparentemente incoraggianti degli ultimi due anni, la situazione sta di nuovo precipitando, così l’esasperazione alimenta tra i vignaioli il sospetto che in qualche cantina si sia voluto risparmiare nella guerra allo Scaphoideus Titanus a discapito del bene comune.

Se di flavescenza si è parlato poco è perché finora la questione non ha toccato le aree vinicole più conosciute. Anche queste, però, sono ormai strette d’assedio e nessuno può dirsi esente da rischi.

Per fortuna, attraverso l’istituzione di appositi finanziamenti, qualcosa si è fatto per aiutare i produttori colpiti a sostituire le piante attaccate dalla malattia. Adesso occorrono uno sforzo maggiore per costruire un argine sicuro contro il dilagare dell’epidemia e una più convinta cooperazione tra le istituzioni. I contadini chiedono che venga esperita ogni strada ogni perché anche l’ultimo focolaio sia debellato e per avere certezza che davvero tutti facciano la loro parte al fine di limitare la diffusione della cicalina incriminata.

L’ultima pressante richiesta riguarda il mondo scientifico, cui compete il compito di trovare una soluzione e che al riguardo non pare aver dedicato energie sufficienti. Non conosciamo ancora abbastanza bene i meccanismi che regolano la vita nel terreno ma gli studi che mettono in relazione le capacità di resistenza della pianta alle malattie con la composizione del suolo sembrano poter destare qualche ottimismo. Si è osservato che alcuni vigneti, in aree dove la flavescenza ha colpito duro, in un primo momento hanno mostrato i sintomi della malattia che poi, però, è regredita.

Si pensa che sia possibile aiutare la vite a sviluppare una buona resistenza agli attacchi esterni grazie all’interazione con alcuni microrganismi presenti nel terreno capaci di produrre sostanze utili contro i fitoplasmi. La speranza è che, lavorando su questa ipotesi, chi fa ricerca sappia dare al mondo del vino delle risposte a una preoccupazione che si sta facendo pressante.

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