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La Stampa

De gustibus - Capire che buono vuol dire naturale è il progresso del vino. Ogni promessa è debito ... Proviamo ad addentrarci in un nuovo aspetto del complesso mondo del vino. Si è detto che una ripresa è in atto e, in attesa che al Vinitaly di Verona arrivino le attese conferme sulla solidità dalla tendenza in corso, sembra essere utile interrogarsi su quali scelte possono contribuire al miglioramento della produzione vitivinicola. A vent’anni, giorno più giorno meno, dallo scandalo del vino al metanolo credo che una riflessione sulla naturalità del vino sia un atto dovuto rispetto al quale non ci si può sottrarre.
Il discorso è delicato e, pare utile sottolinearlo, va affrontato con equilibrio, senza fondamentalismi. In via preliminare occorre sgombrare il campo da un potenziale equivoco. Per naturalità non si intende un’acritica conversione, repentina e generalizzata, ai metodi biologici e biodinamici che pure esistono, meritano rispetto e un’adeguata attenzione. Credo piuttosto, che si debba parlare di un processo. E’ la ricerca continua e paziente di un approccio quanto più naturale possibile alla produzione di vino, prima in vigna e poi in cantina.
La tendenza alla naturalità inizia tra i filari e si concretizza nella più ampia limitazione dei prodotti di sintesi. Contrariamente a quanto si credeva anni fa, certo in buona fede, i concimi chimici non sono perfettamente interscambiabili con le molecole organiche di cui la vite si nutre dalla creazione. E’ la pianta stessa a comunicarcelo mostrando, col passare delle stagioni, di essere diventata debole e facile preda di patologie di inusitata virulenza, tra le quali la flavescenza dorata è solo un drammatico esempio. L’utilizzo di fitofarmaci presenta analoghi problemi di sostenibilità ma ciò non significa che se ne debba fare a meno per forza, a volte purtroppo non ci sono alternative. Più semplicemente esistono tecniche nuove che consentono di fare prevenzione o di “curare” il male con la stessa efficacia e meno controindicazioni rispetto a soluzioni più invasive. Prova ne è che in molte regioni, dal Trentino alla Toscana, si stanno sperimentando con successo metodi di difesa dai parassiti, innovativi e a basso impatto ambientale, basati sul rilascio di ferormoni che confondono gli insetti e ne inibiscono la riproduzione.
In molti paesi del mondo, il passaggio delle uve in cantina coincide con un uso troppo disinvolto di lieviti e additivi. Non bisogna cadere, però, nell’errore di pensare che la soluzione sia nell’adeguarsi all’improvvida consuetudine. Questo genere di abuso sarebbe l’anticamera del declino. Il vino è una bevanda che affascina perché ogni bottiglia è il frutto di una serie di variabili casuali che, dall’andamento climatico all’interpretazione del vignaiolo, non danno mai un risultato uguale all’altro. La diversità in questo ambito è tutto e, se si perde il gusto del confronto, si smarrisce anche il fascino. Se per sostenere un’annata non eccellente si coprono i difetti con vari sotterfugi, omologando il sapore, si fa il gioco di chi vuole applicare al vino la logica dell’industria. Quando vengono meno differenze significative tra una bottiglia è l’altra il solo criterio di scelta rimane quello del prezzo più basso e a vincere non possono che essere i grandi gruppi multinazionali. Oggi le tecniche più spregiudicate consentono addirittura di simulare le caratteristiche di ogni singola annata ma non so se può ancora dirsi vino una bevanda preparata con artifizi tanto lontani dalle normali pratiche agricole. Sono le ragioni per cui non si deve aver paura di darsi leggi restrittive che ci vincolino a comportamenti virtuosi.
Il dibattito sulla naturalità è un passaggio essenziale per prepararsi al confronto con il resto del mondo e, in particolare, con i paesi nuovi produttori. Esiste un’identità europea della viticoltura e questa identità - come del resto quella politica - si basa sull’unione nella diversità. La diversità si fonda sull’intimo legame di ogni vignaiolo con un territorio vario, che trasmette al vino caratteristiche non riproducibili altrove. L’unione risiede nella condivisione di una tradizione antica che in altre aree geografiche non esiste e che va preservata tenendo fede alla naturalità.

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