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La Stampa

Intervista - Il grande imprenditore. Zonin: Bruxelles finanzi il rinnovo del vigneto Europa. «Gli australiani ci battono in Usa perchè possono produrre come vogliono» «La sfida del vino non si vince con tante regole e pochi soldi» ... Sul mercato del vino Usa l’Italia supera ed è superata, battuti i francesi nell’export si è vista sorpassare a sorpresa (i dati vengono dall’Italian Wine & Food Association e sono relativi a gennaio) dall’Australia. «Noi, purtroppo - dice Gianni Zonin, il più grande produttore di vino italiano, commentando la notizia - non stiamo combattendo la concorrenza ad armi pari: tra Vecchio e Nuovo Mondo del vino esistono enormi differenze normative, che imbrigliano noi, mentre concedono agli altri la più ampia libertà».
Dottor Zonin, negli Stati Uniti, per la prima volta in assoluto le esportazioni di vino australiano, con una crescita record del 13,7%, hanno superato in valore le nostre, che pure aumentano a un tasso del 7,9%.
Quale è la sua chiave di lettura di questo sorpasso? «Il motivo del successo australiano è legato a tre aspetti. Innanzitutto quei produttori hanno individuato un gusto internazionale che piace, poi hanno centrato il livello dei prezzi e infine hanno lavorato in modo molto valido sul marketing e la pubblicità. Insomma dietro questo exploit ci sono qualità, tipologia, capacità e dimensioni d’impresa. Non ci dimentichiamo che la più grande azienda vinicola del mondo è australiana».
E in più, come lei asserisce, ci sono le regole europee che giocano contro di noi?
«Siamo di fronte ad una sfida decisiva: o i Paesi del Nuovo Mondo vitivinicolo si adeguano alle normative europee, oppure noi europei dobbiamo essere liberati da un eccesso di vincoli. Adesso è come se stessimo facendo a pugni con una mano legata dietro la schiena».
In pratica che succede?
«In Australia, negli Usa e in tutto il Sud America, sono consentite pratiche di cantina da noi severamente vietate, non ci sono vincoli alla messa a dimora dei nuovi vigneti e alle quantità di vino prodotte, e per conseguenza gli ettari di vigna in produzione sono soltanto regolati dal mercato. Tutto questo si traduce in una grande flessibilità nel poter soddisfare la domanda e con un dumping sui prezzi favorito anche dai minori costi di gestione delle loro aziende. Si pensi alle vendemmie meccaniche, alla minore incidenza dell' investimento fondiario, alla possibilità di pratiche enologiche che consentono di "modellare" i vini a seconda delle mode e delle tendenze del consumo. Invece il regime delle quote dell'Europa non ha consentito la stessa flessibilità alle nostre cantine. In Italia esiste l'obbligo del diritto di reimpianto, addirittura vincolato all'interno dei confini di ogni regione: nell’arco di vent’anni siamo passati da oltre un milione di ettari a meno di 800 mila».
E quali sono i risultati di questa situazione con due pesi e due misure?
«Che oggi i Paesi del Nuovo Mondo vitivinicolo detengono una notevole quota del fatturato mondiale di settore, ma con incrementi che viaggiano a percentuali a cifra doppia. Mentre in Europa, oltretutto, si concentra la maggior parte delle eccedenze e si assiste ad una contrazione dei consumi: qui da noi si beve meno, mentre nel resto del mondo il consumo di vino sale e il punto è che il resto del mondo è servito sempre più dai nostri concorrenti».
Cosa c’è da fare per riportare il mercato ad equilibri più accettabili?
«Prima di tutto armonizzare la legislazione del resto del mondo a quella europea, con la diffusione del criterio della territorialità e l'imposizione di regole comuni e il sostegno al rinnovamento del "vigneto Europa" ormai obsoleto, chiedendo alla Ue di finanziare il miglioramento del nostro patrimonio viticolo attraverso il rimborso ai produttori del 50% dei costi di reimpianto».
Che costi comporta quest’operazione di rinnovamento del vigneto Europa?
«Occorre uno sforzo finanziario enorme. Da un calcolo approssimativo, solo in Italia, sarebbe necessario un investimento pari a 25 miliardi di euro. Infatti dei 750.000 ettari in produzione, solo 250.000 sono stati rinnovati. Per i restanti 500.000, calcolando per il rinnovo un costo medio di 50.000 euro ad ettaro, si arriva ai 25 miliardi di euro totali. E’ovvio che le aziende viticole da sole non ce la possono fare, occorre che l'Unione Europea si attivi con finanziamenti ad hoc per ricostituire i nostri "beni strumentali". Se non si risolvono almeno questi problemi di urgenza assoluta nè l’Italia, nè l’Europa potranno fronteggiare le sfide del mondo vinicolo nel terzo Millennio». (arretrato de La Stampa del 30 aprile 2006)

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