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La Stampa

De gustibus - Addio all’uomo che seppe far parlare ai vini d’Abruzzo una lingua universale ... Uno dei momenti che ricordo con più piacere nella mia esperienza di gastronomo risale ai primi anni ’80. Allora giravo l’Italia assieme a Gigi Piumatti, l’attuale curatore di Slow Food per la Guida ai Vini dell’Italia, alla ricerca di vini, vignaioli e storie da raccontare. Guidati dal catalogo Bolaffi dei vini d’Italia curato dal mai troppo rimpianto Veronelli volevamo apprendere, assaggiare, conoscere uomini, territori e ciò che sanno esprimere insieme. Ebbene, uno dei momenti più intensi, divertenti, interessanti per la mia crescita fu l’incontro con Edoardo Valentini. Quando partimmo alla volta di Loreto Aprutino, in Abruzzo, non nego fossimo un po’ intimoriti. Edoardo aveva la fama, ben descritta da Veronelli, di essere burbero, di accogliere quanto meno con distacco chi si approcciava alla volta della sua proprietà per parlare e imparare di vino. Beh, vi dico soltanto che arrivammo da lui alle due del pomeriggio e ce ne andammo alle due di notte, ci offrì da mangiare con grande gentilezza e fu uno degli incontri più formativi della mia esistenza.

Purtroppo il 30 aprile Edoardo è mancato: abbiamo perso un personaggio mitico nel panorama del mondo del vino italiano. Davvero fuori dagli schemi, è stato un grande leader intellettuale, colto, raffinato. Leggeva con assiduità i classici dell’agronomia, citava Columella, a chi gli chiedeva di svelare i segreti che hanno sempre avvolto i suoi vini inimitabili, rispondeva con aristocratico distacco di andarsi a leggere i presocratici. Se la rideva ad ascoltare le dispute sull’impiego della barrique, lui che le aveva sperimentate negli anni ’50 concludendo che non facevano per lui e i suoi prodotti. Un suo vino non usciva sul mercato finché lui non lo riteneva pronto e ciò poteva anche accadere quattro anni dopo la vendemmia con i bianchi, cinque con il Montepulciano.

Quest’ultimo rientra a pieno titolo tra i migliori rossi italiani in assoluto, ma voglio soffermarmi sull’altra grande etichetta, il suo vero monumento, il capolavoro. E’ il Trebbiano d’Abruzzo: un bianco unico, che regge anche setto, otto, dieci anni. Un vino che mi ha sempre profondamente emozionato.
Con Edoardo c’è sempre stata reciproca stima e un’amicizia che me lo fa rimpiangere tanto, così come accade a Gigi Piumatti: dopo quel primo incontro costruimmo un rapporto molto particolare, che ci fa dire con tranquillità che poteva apparire burbero, ma in realtà aveva un carattere molto dolce. Egli era soltanto restio a mettersi in evidenza: ad esempio raramente partecipava a cerimonie e premiazioni. Viveva in una dimensione tipica meridionale, di quel Meridione colto e aristocratico, ma allo stesso tempo molto democratico.

La grande scuola della vera cultura meridionale. Tra l’altro, a Loreto Aprutino da dove, con il suo lavoro, ha saputo diventare un simbolo internazionale per tutto l’Abruzzo, aveva anche una produzione di olio. Straordinario, naturalmente. Era così bravo a fare il suo mestiere perché il suo rapporto con vino e con l’olio era principalmente agronomico. La terra e la coltivazione venivano prima del marketing o delle tecniche enologiche. Anche in questo è stato a suo modo un premonitore perchè non si è mai lasciato conquistare dalle chimere del successo per abbandonare la buona pratica agricola sostenibile. Per questo motivo è anche accaduto che i suoi vini si caratterizzassero per essere assolutamente meridionali e fortemente abruzzesi, ma in grado di conquistare il cosiddetto “gusto internazionale” sfruttando semplicemente le proprie diversità.
Il suo Trebbiano d’Abruzzo è in grado di parlare una lingua universale: ecco il miracolo che è successo a Loreto Aprutino. Con Edoardo se ne va una delle parti più preziose dell’enologia italiana, che amano, unica, minima consolazione, sono sicuro avrà saputo passare il testimone al figlio Francesco, da anni al suo fianco nell’azienda di famiglia. La sua storia non finisce certo qui.

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