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La Stampa

Effetto botte - Europa divisa dopo l’apertura di Bruxelles si arroventa il dibattito sul vino «invecchiato» con i trucioli. Se vincerà il «sì» anche i produttori italiani dovranno adeguarsi ... «Se da Bruxelles arriverà il via libera non ci sarà niente da fare: anche nel nostro Paese i produttori dovranno ammettere l’utilizzo dei trucioli di legno di quercia, o “chips”, che simulano nel vino l’invecchiamento in barrique per rimanere sul mercato internazionale ». A parlare così, senza il timore di passare per profeta di sciagure, è Ezio Rivella, uno dei grandi maestri italiani del settore. Ma succederà davvero? Quello che qualcuno già chiama il «vino-segatura» troverà spazio anche nella terra in cui è nata l’enologia? Il ministro delle Politiche agricole, Paolo De Castro, non ha intenzione di mollare, pur rendendosi conto che la battaglia è durissima, anche con l’appoggio di tante petizioni firmate da nomi illustri, a partire dal presidente del Senato, Franco Marini.
«Questo è un argomento prioritario nell'agenda politica - dice De Castro - ma i problemi nuovi non vanno risolti con gli strumenti del passato. Dovremo convocare una sorta di stati generali del vino italiano per discutere con i produttori». E il ministro aggiunge: «Sono stupito dalla posizione della Francia, che si è già detta favorevole ai chips anche per le produzioni d'origine controllata. Ma per valutare appieno le proposte dell’Unione europea bisognerà attendere il 21 giugno, quando saranno rese note ufficialmente». La domanda è: che necessità c’è di mettere a contatto vino e legno di quercia? Non è per dare nuovi sapori, comesemplicisticamente qualcuno pensa. I tannini del legno, spiegano i tecnici, combinandosi con quelli del vino, concorrono ad aumentare e stabilizzare il colore, ad evolvere il gusto, a conferire maggiore resistenza all’invecchiamento. Questo stile è ormai largamente apprezzato dai consumatori, la differenza è che nelle barrique il processo avviene in maniera più lenta ed elegante, mentre utilizzando i trucioli dello stesso legno è più rozzo ed imperfetto.
«La preoccupazione di una sleale concorrenza non ha senso - commenta Rivella - la differenza sta nella qualità del prodotto, che il consumatore è in grado di valutare. Il problema di fondo resta l’elevato costo della elaborazione in barrique (da 1 ad 1,5 euro per litro) sopportabile solamente per i vini che vanno al consumatore oltre i 10 euro. Per i vini di prezzo minore, si può ricorrere ai “chips” come ad una opportunità per quella parte di produzione europea oggi sottoposta all’attacco delle nuove viticolture, che usano i trucioli da tempo».
Su posizioni non dissimili è Piero Mastroberardino, presidente di Federvini: «Le produzioni qualificate del made in Italy non sentono sicuramente l’esigenza dei trucioli - ha detto recentemente in un’intervista rilasciata al magazine on line Winenews -ma mirendo conto che possono esserci vini senza un radicamento forte nel territorio, inseriti in un segmento di prezzo più basso, che dall’ultilizzo dei trucioli potrebbero ricevere una spinta competitiva sui mercati d’Oltreoceano, dove i “chips” sono di casa.
A mettere precisi paletti al discorso è Angelo Gaja: «Non è ammissibile autorizzare in Italia l’uso dei trucioli per i vini da tavola se non è stato prima individuato e riconosciuto un metodo ufficiale di analisi che consenta di rilevare se il vino sia maturato in barrique o se sia stato “additivato” con scaglie di legno, oppure ancora se siano stati utilizzati entrambi i metodi».
Gianni Zonin, il maggiore produttore italiano è pragmatico: «E’ un fatto di mercato: basti pensare che questometodo è comunissimo in Australia, i cui vini hanno un grande successo negli Usa. La competizione deve essere ad armi pari, senza temere un “vulnus” di immagine per i nostri migliori prodotti, perchè si tratta di categorie differenti. I produttori di classe che vorranno farlo potranno tranquillamente ricorrere all’autoregolamentezione contro i chip, scrivendo in etichetta che non li usano». Cosa ne pensano i tecnici di cantina? Ad esprimere la posizione di Assoenologi è il direttore generale, Giuseppe Martelli: «La nostra associazione ha espresso parere positivo sull'utilizzo del "legno nel vino", se si tratta di utilizzare quello che noi definiamo "legno onesto", ovvero doghe, chips, trucioli, atti a cedere al vino solo le sostanze naturali del legno, esattamente come fa la la barrique. Siamo invece fermamente contrari a tipi di legno trattati allo scopo di apportare "furbescamente" al vino sostanze aromatizzanti estranee».
La stessa posizione è stata anche assunta dall'Union Internationale des Oenologues, ricordando come questa pratica non sia assolutamente dannosa alla salute, tanto che, dopo un anno di lavori sul tema, ha avuto il via libera dall' Oiv, l'ente intergovernativo che riunisce 86 Paesi produttori e consumatori di vino. L’ultima parola ad un giovane, figlio di un grande innovatore: «Non bisogna chiudere gli occhi - dice Beppe Bologna, delle Cantine Braida - è una cosa nuova per noi, ma in metà del mondo si fa così. La tradizione non deve essere un peso. Come vent’anni fa si criticava la barrique ora si fa lo stesso con i chip: c’è chi affronta le sfide e chi non ha il coraggio di farlo».
Barrique
Cos’è - Una piccola botte in rovere francese lavorato a spacco e tostato
Come funziona - Riempita di vino da invecchiare cede sapori (vaniglia) e tannino
Quanto costa - Il prezzo di una barrique da 225 litri è sui 500 euro
Quanto dura - In media l’uso non supera i tre anni
Chips
Cosa sono - Cubetti o scaglie di quercia tostata (lo stesso legno usato per la barrique)
Come funzionano - Vengono immersi nel vino per trasferire aromi del legno e fissare il colore
Quanto costano - Mediamente 5 euro al chilo
Quanti ne servono - Per uso standard 30 chili per 100 quintali di vino (arretrato de La Stampa del 4 giugno 2006)
Autore: Vanni Cornero

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