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La Stampa

Vino tassato come ostriche e aragoste ... “Mi chiedo se c’è qualcuno a livello politico che abbia il tempo e soprattutto il coraggio di difendere seriamente gli interessi del vino, che, senza nulla togliere alle scatolette e alle crocchette per animali, forse dalla sua parte ha qualche valenza storica, economica e sociale in più…”: così Andrea Sartori, presidente della Confederazione Italiana Vite e Vino-Unione Italiana Vini, interviene sulla questione Iva gravante sul vino, attualmente al 20%.

“Da alcuni anni - continua Sartori - alcuni parlamentari hanno preso a cuore le istanze dei produttori di mangimi per cani e gatti tese a portare l’Iva dal 20 al 10%. Le hanno talmente prese a cuore da depositare nelle ultime due legislature alcuni disegni di legge, con motivazioni economiche e sociali molto convincenti. Di proposte di legge sul vino nelle ultime legislature ricordo quella che intendeva listare a lutto le bottiglie con la scritta “nuoce gravemente alla salute”.

Due anni fa - sostiene Sartori - l’Unione Italiana Vini lanciò la proposta al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di ridurre l’Iva gravante sul vino dal 20 al 10%. Fu posta una questione di principio, chiedendo un atto di giustizia nei confronti di un settore che produce ricchezza per il Paese, dà lavoro a centinaia di migliaia di persone e - non ultimo - contribuisce con le proprie tasse al bilancio dello Stato. Non mi dilungo a fornire cifre, anche se sarebbe interessante che qualcuno si ricordasse che senza il fatturato generato dal vino con le esportazioni il saldo della nostra bilancia agroalimentare nel 2005 sarebbe stato in rosso per 400 milioni di euro (i dati sono di Federalimentare).

Oggi ritengo opportuno tornare sull’argomento, tenendo conto che all’interno dell’alimentare italiano, il settore vino è la terza forza per fatturato prodotto (sempre dati di Federalimentare del 2005): 7,6 miliardi di euro, contro i 14,1 del lattiero-caseario e gli 11,2 del dolciario, mentre la carne, che nel 2004 era al terzo posto, è scivolata al quarto. Ora, mi sono preso la briga di andare a vedere le tabelle Iva di queste quattro categorie di prodotti e leggo una sfilza di 10 e 4%. Al 20%, oltre al vino, ci sono: aragoste, astici, fiori, semi, frutti e piante usati per cosmetica e antiparassitari, idromele, menta piperita, ostriche, pappa reale, peli di animali, pelli, radici di liquirizia, sabbia, saggina, sidro, stoppe, sughero, tartufi. Quindi, la logica delle aliquote è: meno è presente sulla tavola, più è tassato. Deduco che il vino sulla tavola delle famiglie italiane ha la stessa frequenza dell’aragosta e del tartufo, e che quindi i 7,6 miliardi di fatturato prodotti sono fatti solo di bottiglie da 100 euro in su consumate a tonnellate da qualche casato nobiliare.

Chiedo: siamo in Italia o in Giappone? Quale è il criterio per cui il vino è al 20% in un Paese che di vino vive? Qual è il criterio che porta qualcuno a pensare non già di riportare alla normalità una situazione anormale, ma addirittura di renderla ridicola? Oltre il 20% in Italia cosa è tassato? E’ al 10% persino il kephir, un intruglio di origine mediorientale a base di latte fermentato che si può fare anche in casa. Dovremmo eleggerlo a bevanda nazionale…”.

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