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La Stampa

Premi e polemiche - Agli appuntamenti si sono sempre i soliti noti. I giovani del Collio in rivolta: «basta con il vino-spettacolo». Le vendite in Italia hanno raggiunto un fatturato da 2 miliardi di euro. «In questi anni c’è stato un abuso mediatico e questo non giova ai produttori e nemmeno al consumatore che resta confuso» ... «Basta con la spettacolarizzazione del vino» dicono, in corso E non te lo aspetteresti perché loro, nove giovani imprenditori agricoli del Collio figli d’arte e già lanciatissimi, dopotutto sono lì per partecipare a un’iniziativa, il Premio Attems, che appunto parla di vino, offre riconoscimenti a chi ne parla, a chi lo studia, a chi lo divulga, con articoli e con tesi universitarie. Occorre precisare: è un problema di quantità, di qualità, di modo.
Andrea D’Osvaldo, Enrico Coser, Kristian Keber, Patrick Sturm, Robert Figelj, Stefano Bensa, Luca Raccaro, Eva Toros e Gabriele Vosca, che nei nomi e nell’aspetto rappresentano bene la pluralità antropologica e la ricchezza storica del Friuli Venezia Giulia, abilmente aizzati dal giornalista Carlo Cambi, semplicemente confessano di non poterne più. Delle cene, delle pubblicità, delle guide che spuntano come funghi e non si capisce che tipo di autorevolezza possano avere, delle manifestazioni «autoreferenziali», delle trasferte dove ci si trova sempre con le stesse persone, a dire le stesse cose, mentre il pubblico, gli acquirenti, latitano.
«Noi - spiegano - vogliamo fare bene, sempre meglio se ci riusciamo, il nostro mestiere. Cioè stare in vigna, e in cantina». Certo, amano confrontarsi con altre realtà, viaggiare, se ne vale la pena. Anche se qui, dicono orgogliosi, abbiamo tutto: mare, montagna, colline, arte, cucina. Tanto che uno dei premiati, Marcello Conserva de La Nouvelle Gazette di Charleroi, giornalista di origine italiana naturalizzato belga, ricevendo il premio ha fatto ammenda: «La mia famiglia arrivava dalla Puglia. Io il Friuli me lo immaginavo pieno di nebbia. La prima volta che ci ho messo piede, è stata una rivelazione». Sarebbe tutto perfetto, insomma, e loro di certo non si lamentano. Ma il vino, insistono, «ha subito un abuso mediatico e questo non giova a nessuno. Non a noi produttori, non al consumatore, che resta confuso e non sa più come orientarsi, a chi dar retta, che cosa vale la pena di comprare e a che prezzo».
Le nuove leve, deluse dalla conclusione della vicenda Tocai, che li ha privati del diritto di fregiarsi di un un marchio storico, «è stata gestita male, da tutti, inutile nascondercelo», parlano anche del nuovo nome, Friulano, che toccherà farsi piacere; e far piacere agli acquirenti. Non ne sono entusiasti ma, friulanamente, sono convinti che alla fine saranno la qualità, e il rapporto qualità-prezzo, a fare la differenza. Laboriosità e cura il Collio li esprime fin dal paesaggio, dove i lunghi filari pettinati, i paesi, le colline che l’estate adorna di un verde glorioso, sembrano un unico giardino progettato per ispirare pace.
Qui la terra è ancora ricchezza vera e l’aristocrazia, se c’è, si misura in ettari vitati, in marchi, in numeri di produzione, in secoli di attività. Ma l’attenzione e la passione sono le stesse, per tutti, i piccoli come i grandi; e così l’amore quasi maniacale per i dettagli. Le freschissime cantine interrate sono belle come le case che le sovrastano, a volte di più. Linde come salotti, e come salotti tenute in ordine. C’è chi si tiene care le vecchie botti in cemento; chi spiega di aver rifatto la pavimentazione con le lastre di pietra che quei matti di triestini, hanno sostituito, chissà perché, in piazza Unità d’Italia, e stavano per essere buttate via.
Chi ha solo acciaio e chi mostra con orgoglio gli architravi sagomati per far passare, ai tempi dei nonni, le vecchie, grandi botti di legno. E tutti, piccoli e grandi, puntano, fra i tanti e gloriosi vitigni dell’area, su un uvaggio, il Collio bianco, vino simbolo del territorio, che ben ne rappresenta l’anima ordinatamente anarchica. Perché il Collio, da disciplinare, ognuno se lo fa secondo l’estro, pescando in proporzioni variabili tra chardonnay, malvasia istriana, muller-thurgau, picolit, pinot grigio, pinot bianco, ribolla gialla, riesling renano, riesling italico, sauvignon, tocai friulano e traminer aromatico. E riesce quasi sempre bene, questo è il bello. (arretrato de La Stampa del 2 luglio 2006)

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