02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

La Stampa

Il girone dei vinosi ... L’itinerario delle muffe nobili sfida in seduzione gli spiriti di “tre bicchieri” e Porto centenari. Al Lingotto una divina enoteca per viaggiare tra etichette super... La cantina del sogno non è un posto dove si raccolgono bottiglie, ma dove ci si incontra con i sogni. Il vino è un tramite di sapere, tradizione e, soprattutto, dialogo. Questa è la chiave per aprire la porta della cantina universale del Salone del Gusto: nei cento “laboratori” dedicati al vino (per la guida completa consultare www.slowfood.it) ci sono storie di vigneti e di persone che attraversano epoche e confini.
Come quelli della, troppo tormentata, terra del Libano, dove, nella valle della Bekaa, Serge Hochar lavora per preparare il suo Chateau Musar, coltivando centosessanta ettari che vanno a riempire la sua cave in cui riposano un milione di bottiglie, con un incredibile stock delle migliori annate dell’ultimo trentennio. E se si cerca un nome più famigliare si può parlare di Croft, una delle storiche case di Porto che esiste dal 1678 e nel 1736 venne battezzata con il cognome di John Croft, quando questo commerciante dell’alta borghesia inglese entrò come socio nell’azienda: il suo fiore all’occhiello è la famosa Quinta da Roeda, una delle proprietà più rinomate della valle del Douro.
Nella partita sul nome Tokaji, vinta dall’Ungheria sul Friuli, ci sono molte donne che hanno riportato l’enologia magiara a grandi livelli. Le due più famose sono Stéphanie Berecz e Izabella Zwack. La prima presenta al Salone la sua creatura, il suo Disnoko Aszu 6 puttonyos 1999. Izabella, invece, cresciuta in Italia, i vini li cerca per l’azienda Zwack Unicum e qui propone la sua scoperta migliore, il Tokaji Dobogò. Ma, tra nomi prestigiosi al femminile, dalla Francia arriva quello di Julie Médeville, figlia di una storica famiglia del bordolese, proprietaria nel Sauternes di Chateau Gillette e Chateau Les Justices.
Julie, dopo gli studi di giurisprudenza, a 31 anni, è diventata proprietaria dell’azienda avita ed il suo orgoglio è il Gillette Crème de tete, ottenuto da un invecchiamento di almeno vent’anni. E se si vuol proseguire nella “Geografia della botrytis , c’è un viaggio apposito organizzato attraverso l’Europa con i più grandi maestri della muffa nobile.
Lungo la via si può incontrare Egon Muller dalla Mosella, proprietario di una tenuta di soli 7 ettari nel famoso vigneto Sharzhofberg, posseduto dalla famiglia Muller già dal diciottesimo secolo e considerato uno dei migliori della zona. Oppure Alois Kracher da Illmitz, Burgenland, un quarantaduenne spinto verso mete sempre più ambiziose dall’ossessione per la qualità e dalla passione per le scoperte: leader riconosciuto della viticoltura austriaca, è entrato nel mito con una serie di vini dolci botritizzati che gli appassionati di tutto il mondo si contendono. O ancora Lur Saluces, proprietario di Chateau de Fargues, un esempio unico di longevità patrimoniale poiché appartiene alla stessa famiglia da più di mezzo millennio. Una tenuta costituita da 170 ettari che si estendono attorno al castello in cui le vigne nascono tra boschi, stagni e pascoli.
Ancora una donna, questa volta con passaporto italiano, Silvia Imparato, abbandonata la sua carriera di fotografa, si è dedicata ad un vino, uno soltanto: il Montevetrano, che dal 1992 è diventato una pietra di paragone per gli altri produttori campani, conquistando dal suo debutto per ben dieci volte i Tre Bicchieri della guida Vini d’Italia, davvero un grande traguardo. Ma la ‘matricola’ in rosa è Arianna Occhipinti, che a soli 22 anni, è probabilmente la più giovane produttrice italiana. Viene dalla Sicilia dove ha iniziato a lavorare un ettaro di vigneto coltivato a frappato e nero d’Avola. I terreni si estendono nel cuore della zona del Cerasuolo di Vittoria da cui Arianna ha tratto i suoi due primi vini, millesimo 2004. Mentre Nadia Zenato, veterana per diritto di famiglia, ha tra le frecce della sua faretra dal Lugana all’Amarone.
E che il vino sia fonte di solidarietà lo dimostra Andrea Muccioli, responsabile della comunità per il recupero dei ragazzi dalla tossicodipendenza di San Patrignano. Lì il lavoro quotidiano fa parte del programma di rieducazione e punta a renderli autosufficienti. Nascono così prodotti che spaziano dall’artigianato all’agroalimentare. Proprio in questo settore i ragazzi hanno avuto grosse soddisfazioni: i loro vini, l’Avi 2001 e il Montepirolo 2001 hanno ottenuto entrambi un’ottima votazione (93/100), rientrando così nell’ambitissima categoria dei “top”, secondo il giudizio di Robert Parker di The Wine Avocate.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su