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La Stampa

Figli orgogliosi di un’Italia minore ... Negli ultimi vent’anni, grazie al lavoro di Slow Food, la parola “gusto” è stata definitivamente affrancata dall’ambito esclusivamente sensoriale, riappropriandosi della sua dimensione culturale. E il “gusto” ha trovato nel Salone di Torino, a dieci anni dalla sua prima edizione quasi sperimentale, il suo luogo di massima esaltazione in cui è possibile ritornare a comprendere il valore di quel pezzo di sapere che per troppo tempo è stato dimenticato o, peggio, ricondotto nell’alveo della “volgare” cultura materiale.
Una esaltazione che soprattutto è quella dell’unicità e della ricchezza rivelate dai “presidi” gastronomici, non solo italiani ma anche mondiali, capaci di riportare alla luce dimensioni quasi ancestrali e piaceri dimenticati, evidenziandone differenze ed identità. L’idea originaria di educare al gusto, perché sia finalmente consapevole, e di tutelare un patrimonio economico, sociale e culturale, frutto di una tradizione contadina e artigiana spesso non tramandata per iscritto ma ugualmente densa di sapere e tecniche, resta oggi più che mai forte. Di più, attraverso il gusto, siamo tornati a riscoprire un’Italia minore (ma anche mondi fino a poco tempo fa lontanissimi), che proprio grazie alla sua ricchezza enogastronomica ha cominciato a smettere di essere minore.
Il gusto, insomma, è diventato un’altra faccia della complessa stratificazione storico-culturale del nostro Paese. Ma, accanto a questa dimensione, il gusto ha saputo anche diventare un vero e proprio fenomeno economico dal valore di molte decine di milioni di euro, e, evidentemente, non più riconducibile all’immagine stereotipata del “godurioso” da girone dantesco. E’ diventato un vero e proprio “sistema” con tanto di Università del Gusto. Ed anche in questo senso l’impulso di Slow Food, che “lavora oggi perché tutti possano permettersi ed apprezzare cibo buono, pulito e giusto”, è stato fondamentale, aprendo un ulteriore fronte. Rispetto del territorio, agricoltura a misura d’uomo, infatti, non sono altro che alcuni degli ingredienti della nuova frontiera di uno sviluppo sostenibile e socializzabile, in cui il gusto diventa una sorta di “ambasciatore” del buon vivere. Per me che sono “parte in causa”, diciamo, così, il gusto è naturalmente collegato alla passione, non solo quella che metto nel mio lavoro, ma anche quella che sta nella ricerca costante di qualcosa di particolare, di diverso, non solo capace di appagare un piacere, ma anche un piccolo frammento di ciò che abita nei luoghi più reconditi dell’anima.
Autore: Marco Caprai
Produttore di vini e consigliere di amministrazione di Buongusto Italia

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