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La Stampa

Un patrimonio dell'umanità non si deturpa coi capannoni ... Nell’Italia dei siti archeologici, delle meraviglie architettoniche e di paesaggi straordinari si levano frequenti richieste perché l’Unesco conceda a un luogo o all’altro la qualifica di “patrimonio dell’ umanità”. In effetti, il Paese non fa difétto di località di assoluto rilievo e tra queste prestigiose terre da vino: si pensi al Chianti, a certi paesaggi del Veneto o alle colline di Langa e Roero. Proprio la candidatura a sito tutelato dall’Unesco di quest’area del Piemonte ha scatenato un dibattito su come assicurare la conservazione delle bellezze paesaggistiche. La questione è semplice, da un lato gli enti locali si adoperano per ottenere l’ambito riconoscimento, dall’altra continuano imperterriti a infierire contro il paesaggio e sono gli stessi Comuni che invocano la prestigiosa targhetta a mostrarsi incapaci di una gestione oculata della terra in cui affondano le radici.
Dove prima si andava in cerca di tartufi ora si sono moltiplicati blocchi di cemento inguardabili. L’ultima - ma non certo l’unica - mostruosità è un albergo ancora in gestazione in quel di Serralunga, autentica ferita portata al cuore di uno scenario ineguagliabile. Poco lontano, a Monforte, terreni ereditati dal Comune per farne una scuola di agricoltura sono stati convertiti ad uso residenziale (a dispetto del calo della popolazione!). È questo il tipo di sviluppo che progettiamo per la Langa? Continuare su questa strada non depone certo a favore di un territorio che ha l’ambizione di fregiarsi del titolo di patrimonio dell’umanità. Il vero problema, però, non è tanto la certificazione formale delle proprie virtù paesaggistiche. Occorre un atto preliminare prima di qualsiasi riconoscimento esterno: far germogliare negli abitanti la coscienza che la salvaguardia dell’ambiente naturale è un tassello fondamentale dello sviluppo futuro. Un’indiscriminata espansione edilizia può portare qualche modesto vantaggio di brevissimo respiro alle casse comunali al costo di danni destinati a durare. Vale dunque la pena ragionare sul recupero degli edifici storici esistenti - penso al caso emblematico del Castello della Volta - anziché abbandonarli al declino per tirare su pessime imitazioni poco più in là.

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