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La Stampa

È un rischio volere l’Italia senza confini tra i vigneti ... Nell’ultimo scorcio del 2006 il vino italiano è stato scosso da un ennesimo caso enologico, certamente meno grave del famigerato metanolo, ma di cui avremmo tranquillamente fatto a meno. Le Forze dell’ordine, con la brillante operazione «Nozze di Cana», hanno scoperto, prima che fossero messe in vendita, svariate centinaia di migliaia di bottiglie di Pinot Grigio Veneto Igt, contraffatte e che col vitigno in questione non erano nemmeno lontane parenti. La mia paura è che questi sequestri abbiano svelato semplicemente la punta di un iceberg. Spesso, chiacchierando con produttori e imprenditori enologici illuminati, si lamenta l’esistenza di un giochino che consiste nell’imbottigliamento di mosti acquistati a pochi centesimi al litro nell’emisfero Sud del mondo e spacciati come italiani grazie alle generica denominazione dei vini da tavola. Per ovviare a questo si avanza da più parti la proposta di tutelare maggiormente il buon nome del nostro vino di qualità creando una nuova Igt di portata nazionale (Igt Italia, proprio così).
Un’indicazione geografica tipica a raggio così ampio dovrebbe scoraggiare il trucchetto. Premesso che sono fortemente critico all’ingresso di «liquidi» anonimi, che rappresentano un grave danno nei confronti dei consumatori e violano le più elementari norme sulla tracciabilità, io ho un’idea diversa e ritengo che la tutela dell’origine debba essere risolta a livello regionale e non nazionale. L’Igt Italia a mio parere non risolverebbe il problema della «deambulazione» di autocisterne sul nostro territorio, che dall’estero, ma anche da Sicilia, Abruzzo, Lazio... prendono la via delle regioni settentrionali per arricchire i commercianti senza scrupoli. L’esempio del Pinot Grigio mi sembra illuminante: i furbi aggirano anche l’Igt e se ne fanno un baffo del patrimonio delle denominazioni messo in piedi con tanta fatica dal nostro sistema legislativo. A livello regionale i controlli sono più capillari, il monitoraggio del territorio più agevole, la tutela dei consumatori assicurata con maggiore serietà.
L’Italia non deve ridursi a diventare un Paese che si fa interprete di una produzione massiva: non vinceremo mai la sfida posta dalla globalizzazione dei mercati scendendo sullo stesso piano dei concorrenti australiani, cileni e argentini, né cedendo il campo ai commercianti e agli imbottigliatori «della porta accanto».
(arretrato de La Stampa del 31 dicembre 2006)

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