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La Stampa

Benvenuto Brunello. Il miglior vino a stelle e strisce ... A Montalcino voglio fare gli americani... Il Brunello di Montalcino è il migliore vino americano d’Italia. Lo si scopre passeggiando verso mezzogiorno dalle parti di piazza del Popolo o tra le botteghe di corso Ricasoli. In uno slang toscano dalla forte inflessione californiana miss Jones fa la spesa e tra una finocchiona e un chilo di pane parla di come si viva bene nella «sua» Montalcino. Cambio di scena. Santa Monica, ristorante Valentino. Un tavolo dello star system dove tra le altre sta seduta Sharon Stone è alla terza bottiglia di Brunello.
«E’ il vino più amato dagli americani - spiega Piero Selvaggio, il padrone di casa - perché lo sentono un po’ loro. In tanti hanno investito in Toscana e comprato aziende che esportano qui in America quasi tutta la loro produzione». Quelli che hanno comprato non sono mister qualunque. In principio furono John e Harry Mariani e negli Anni Ottanta misero le mani su Castello Banfi, una delle aziende chiave del Brunello, poi è toccato a Richard Parsons, ceo di Aol Time Warner, il colosso americano dei media, con l’azienda «Il Palazzone» protagonista del recente «Benvenuto Brunello». L’esordio della piccola annata 2002 e le valutazioni della vendemmia 2006 (cinque stelle piene) sono state l’occasione per un altro approdo Usa in quel di Montalcino. Quello della coppia Allegrini-Lo Cascio. Lei prestigiosa vignaiola veronese, lui palermitano d’origine, cresciuto come manager alla Citybank, da qualche anno ha cambiato vita con «Winebow» una delle società più importanti per l’export italiano negli Usa, una vetrina dell’alimentare italiano con un giro d’affari di circa 150 milioni di dollari l’anno. «Winebow» è partecipata anche dal fondo di private equity Freeman&Spogli, legato all’ambasciatore americano a Roma.
«We love Brunello» è il messaggio che arriva dagli Stati Uniti, scritto con le cifre dell’export: una bottiglia su quattro viene infatti stappata negli Usa ovvero il mercato a stelle e strisce da solo assorbe il 25% di quanto viene imbottigliato all’ombra della fortezza. Dati freschi di conteggio annunciati, mentre tra le mura simbolo del paese del Brunello veniva degustata l’annata 2002 (non entusiasmante e prodotta per scelta in quantità ridotte) e la riserva 2001. Lo chef della serata top è americano e tutto si svolge a Castello Banfi, l’azienda proprietà dei fratelli Mariani. La forza del modello Montalcino è tutta qui, sta nella capacità di fare squadra, nella forza che viene dal far convivere e collaborare in strategie e sinergie l’azienda storica Biondi Santi con il patriarca Franco e il figlio Jacopo saldamente alla guida e il gigante Castello Banfi.
Il messaggio toscano è chiaro è può essere d’aiuto anche per altre regioni d’Italia dalla stessa grande vocazione vinicola e lo spiega un piemontese doc come Enrico Viglierchio che ha inventato il modello Montalcino dal suo posto al timone italiano della Castello Banfi: «La differenza la fanno la nostra capacità di fare squadra, lo stretto legame con il territorio che è collante dell’intero Consorzio e soprattutto la scelta di non tradire mai il consumatore finale che sa sempre a quale fascia di prezzo corrisponde il Brunello». Oggettivamente il 2002 non è granché, la Grande riserva 2001 è entusiasmante e il 2006 è pronto a superarla, ma a Montalcino fanno sistema e serve, per lanciare una nuova annata, proprio nei giorni della presentazione, sono pronti a far nuotare una balena fossile tra le vigne, ovviamente a Castello Banfi. Ma per fortuna non l’hanno chiamata Brunella.
(arretrato de La Stampa del 4 marzo del 2007) 

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