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La Stampa

Il Chianti minacciato da un inceneritore ... Un nuovo incubo sulle colline della Toscana... L’emergenza rifiuti si espande a macchia d’olio e dilaga sino nelle terre del Chianti, ma anche la ricerca di soluzioni alternative per la produzione di energia, in Maremma, pare costituire una minaccia a coltivazioni ed ambiente delle aree vitivinicole più vocate. Nel cuore di quello che gli inglesi hanno ribattezzato “Chiantishire” dopo averne acquistate generose porzioni a battersi contro la realizzazione di un inceneritore che dovrebbe essere costruito nella Rufina, ima zona di grande pregio, sia storico, sia qualitativo per i suoi vini, c’è un nome del gotha enologico italiano: Francesco Giuntini Antinori, titolare della Fattoria Selvapiana, che lotta a fianco dell’ “Associazione Val di Sieve”, per fermare l’opera.
Pochi giorni fa Antinori ha scatenato l’offensiva con un ponderoso studio rivolto alla Provincia di Firenze in cui si elencano le conseguenze negative del progetto. “In fatto di conseguenze socioeconomiche - spiega Antinori - l’inceneritore costituirebbe una lesione irreversibile dell’immagine della Val di Sieve che ha una spiccata vocazione agricola e agrituristica, determinata principalmente da prodotti tipici di qualità eccellente e di alta reputazione, come l’olio e il vino, tanto che all’interno della Docg (denominazione d’origine controllata e garantita n.d.r.) parte del territorio è distinto con la dizione aggiuntiva “Chianti Rufina””.
Inoltre, prosegue Antinori, come già preannunciato da analisti americani, si determinerebbe una riduzione progressiva, forte e traumatica, delle presenze turistiche, enoturistiche ed enogastronomiche, vanificando gli investimenti pubblici e privati attuati e annullando le conquiste raggiunte negli anni con i sacrifici e gli sforzi degli operatori del settore.
“La Val di Sieve - spiega il rapporto - costituisce uno dei paesaggi più tipici e meglio conservati del territorio toscano a Est di Firenze. Inoltre il Comune di Rufina ha investito nell’acquisto e nel restauro di Villa Poggio Reale, dove trova posto il museo di storia della vitivinicoltura locale, assolutamente incompatibile con un impianto di incenerimento di rifiuti.
Ma non basta: secondo lo studio commissionato dall’Associazione Val di Sieve la zona è al livello massimo di vulnerabilità per quanto riguarda le acque e non consente l’insediamento di infrastrutture e attività potenzialmente inquinanti. E le particelle inquinanti prodotte dagli inceneritori sono bioaccumulabili e si trasmettono per via alimentare. Inoltre l’attuale impostazione viticola si bara sui valori del microclima che vengono attentamente valutati e sfruttati, mentre una seppur minima variazione climatica prodotta dall’emissione dei fumi è in grado di sconvolgere la tipicità di un prodotto su cui si è basata la costruzione di un marchio. Tutto questo senza contare i potenziali rischi per la salute comuni a tutti gli inceneritori.
E se in Val di Sieve si lotta per fermare un’invasione in Maremma si combatte contro qualcosa che già esiste. Ed è letteralmente un duello contro i mulini a vento: dieci torri eoliche dell’altezza complessiva di 110 metri (tre in più della cupola del Duomo di Firenze e poco meno del grattacielo Pirelli a Milano) situate sul crinale più alto di una valle intatta della più bella e riposta Maremma grossetana, nel cuore dei terroir del Morellino di Scansano. Tutto questo alle spalle del Castello di Montepò, risalente all’XI secolo. Quanto basta per ricorrere al Tar della Toscana, come ha fatto Italia nostra, e a scatenare le ire dei produttori dei Morellino, dal Consorzio di tutela a Caparzo, dai Cinelli Colombini, ai Frescobaldi, dai Mazzei, a Le Pupille, alla Cooperativa di Scansano, che hanno tempestato di proteste enti locali e ministeri.
L’ostilità al parco eolico, che sarà inaugurato a giugno, non deriva ovviamente da un atteggiamento contrario allo sfruttamento di energie rinnovabili, ma dalla scelta del luogo: “Un impatto insopportabile - dice Jacopo Biondi Santi, una delle più celebri firme del vino italiano e proprietario del Castello di Montepò - su un’area che da sempre si distingue per il suo appeal naturalistico, visto che la prima grossa conseguenza dell’installazione delle torri sarà il cambiamento del microclima, con importanti ripercussioni sui vigneti oltre che sulla vita degli animali e delle piante selvatiche”.

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