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La Stampa

Una poesia corretta grappa ... Scompare ad 80 anni Romano Levi: con lui l’alambicco diventò arte... Un mito langarolo... Le sue bottiglie di grappa chi le ha le conserva spesso senza neppure aprirle. “Parlano” quelle etichette disegnato con inchiostro di china e matite colorate. Raccontano storie ed epopee che hanno creato il mito di Romano Levi il “grappaiol’angelico»”. Lo battezzò così Luigi Veronelli che lo scoprì a metà degli Anni ’60 e iniziò a raccontarlo.
Il romanzo di questa vidi semplice e straordinaria, passata accanto al vecchio alambicco a fuoco continuo, ereditato dal padre Serafino, si è interrotto ieri notte. Romano Levi si è spento nella casa di riposo di Neive che condivideva con la sorella Lidia. Ne usciva ogni giorno per seguire il lavoro dei suoi 4 collaboratori impegnati a distillare le vinacce. Avrebbe compiuto 80 anni in novembre, amava contare la sua vita in fiammiferi. Ne aveva accesi finora 63: uno all’anno, da quell’autunno del ’45 quando per la prima volta, dopo la morte della madre, ebbe a 17 anni la responsabilità di avviare la caldaia della distilleria.
Era un “omino” sempre indaffarato, dai grandi occhi chiari. Senza mai essersi mosso da Neive, tra Langa e Monferrato, era diventato uno dei miti del “made in Italy”. Non faceva pubblicità, centellinava le apparizioni pubbliche, non partecipava a fiere e non aveva neppure un opuscolo da distribuire. Eppure per conoscerlo c’è gente che ha viaggiato per migliaia di chilometri. Semplici appassionati (c’è anche un fans club su internet) e vip, come Andrea Bocelli, Michael Schumacher e Paolo Conte.
I clienti arrivano alla vecchia cascina-distilleria sullo stradone per Alba. Le loro auto spesso hanno targa straniera. Non ci sono insegne. Se dalla piccola ciminiera esce fumo bianco e leggero è il segnale che la distilleria sta lavorando. Il fuoco viene acceso ogni anno dopo la vendemmia e va avanti per mesi, fino a primavera. E’ alimentato con i residui compressi dei graspi e dei vinaccioli distillati l’anno prima. Le ceneri sono date ai produttori che hanno portato le vinacce fresche per concimare le vigne. Non si spreca nulla, è l’ecologia del buonsenso.
Dal vecchio alambicco in rame esce la grappa. Diventava “l’oggetto del desiderio” solo dopo che Levi la metteva nelle bottiglie a fiasca di vetro chiaro e le “vestiva” con le etichette da lui disegnate a mano. Disegnate? Non proprio e non solo. In quei pochi centimetri di carta dai bordi frastagliati, Levi ha sussurrato e gridato per anni le sue emozioni.
E così la donna diventa “selvatica che scavalca le colline” gli angeli hanno un’ala sol, possono volare restando abbracciati, il sole insegue la luna che non si lascia prendere. E “c’è troppa luce per non credere nella Luce”. Ma anche dediche di vita quotidiana.
I clienti salivano in pellegrinaggio. “Mi pare di essere il
Padre Pio della grappa”, raccontava divertito. Gli lasciavano biglietti da visita e gli portavano civette di ogni materiale. “Una raccolta che ho iniziato per caso - spiegò - amo gli animali e non è vero che la civetta porta male”.
Levi appariva rustico con tutti: non più di 2 bottiglie a testa, altrimenti c’è gente che le
paga 20 euro l’una e le rivende a 150. Ogni tanto la Finanza gli comunicava che ne aveva sequestrate di false. Nella sua stanza con una sola finestra ha accolto il mondo diventando “collezionista di strette di mano”. Sarà sepolto oggi alle 15 nelle sua Neive, dove vogliono trasformare la sua casa-distilleria in museo della grappa.

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