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La Stampa

Le mie donne selvatiche ... Alla figura di Romano Levi e alla sua mitica distilleria di Neive, meta di cultori da ogni parte del mondo, è dedicato il libro “Levi e la donna selvatica”, scritto dal giornalista Luigi Sugliano e pubblicato da “Sorì edizioni”. Per concessione dell’autore e dell’editore, ne pubblichiamo un estratto... Romano Levi sorride, contento e un po’ selvatico. Guarda il cielo, le nuvole sopra Neive, verso Barbaresco e di là c’è la strada per Mango che sale e peccato non poter passeggiare oltre il cancello, dentro quelle Langhe che ancora oggi gli sembrano misteriose. Guarda il cielo e le ore che vanno di corsa. Ha occhi chiari e pensieri in fuga: “Devo prendere la scatola dei fiammiferi. Chissà quanti me ne rimangono da vivere e lavorare. Devo accendere l’alambicco. Chissà come verrà la grappa, quest’anno. Ho parlato con Angelo Gaja, mi darà le vinacce di Tildin. Lo sa che mi piacciono i nomi di donna”.

Fa pochi passi. La sua casa è in un cortile che guarda la strada e dall’altra si affaccia su colline imprigionate dalle viti. Ci sono due cancelli di ferro, un campanello senza nome, un suono stridulo. E dentro il correre delle stagioni, il fruscio degli alberi. C’è il suo camminare di uomo non molto alto, il berretto sulla testa, le sopracciglia folte fanno ombra a un viso che risplende dolcezza e ha visto una storia passare, i paesi cambiare sotto la coltre dei boschi e delle viti.

Romano Levi ha visto tanti volti di donna. Le ha guardate e poi fatte salire sulla carrozza di una bottiglia, un tappeto di vetro per portarle lontano, dietro le colline, tra i fuochi e le dolcezze, i brividi dei tramonti sulle Langhe e il risveglio dopo le carezze.

Il fiammifero ha preso fuoco in fretta, in un attimo l’alambicco ha ricominciato a vivere. Romano Levi si allontana e apre la porta, là dove ci sono bottiglie, una scrivania, le ragnatele. Dal cassetto esce un foglio. Comincia il primo disegno, un altro autunno, un altro segno da guardare e incorniciare. Un’altra donna selvatica da colorare.

C’è un ciclo che si specchia in questa stanza spoglia e piena di luce, la luce che illumina le colline di Neive e della Langa tutta, fa crescere i grappoli più buoni, li aiuta a diventare vino e poi grappa, poi bottiglia, etichetta, emozione, collezione o rimpianto. Nel giardino di Romano Levi c’è una porta che si chiude, un sogno che si apre, un fiammifero che si accende, una fiamma che brucia, la punta di un pennino che corre su un foglio a quadretti e racconta storie, regala emozioni, sapori forti, profumi intensi. Nel giardino e oltre la casa, dietro la scrivania e tra le piccole botti c’è un uomo di Langa che percorre la strada tracciata dal padre, conservata dalla madre e distilla ogni giorno una parte di se stesso, di noi stessi, di questa terra.

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