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La Stampa

La movida si ribella alle tabelle dell’alcol ... I ragazzi: “I cartelli del ministero? Non ci capiamo niente”. Anche i gestori dei locali si rassegnano: “Sono davvero inutili”... Le undici di sera. I portici torinesi di piazza Vittorio sono affollati di ragazzi fra i 13 e i 49 anni. Il cosiddetto popolo della movida. Stanno scaldando i motori in vista della notte. In molti andranno all’inaugurazione della serata Erasmus al Lapsus, un locale nella non lontana via Principe Amedeo. Un paio di mezzi dei carabinieri presidiano l’ingreso alla piazza. I militari controllano i documenti dell’imberbe guidatore di un Porsche nero. Altri loro colleghi montano di guardia lì dove inizia il territorio di confine dei Murazzi.
Ma stasera non s’inaugura solo il venerdì Erasmus. C’è anche l’esordio delle famose tabelle su norme di comportamento e indici di sobrietà, che come stabilito dal ministero del Welfare dovranno essere esposte in tutti i locali dove si somministrano alcolici, e che infatti campeggiano all’interno del Lab, uno dei bar più frequentati della zona. Il bancone all’interno e il marciapiede di fronte al locale sono gremiti. E tra i capannelli che stanno decidendo quale piega dare alla serata, c’è un gran viavai di cameriere, birre e cocktail.
Le prescrizioni
A dire la verità, però, nessuno si preoccupa di consultare le tabelle prima di ordinare la consumazione. E dire che a quest’ora tutti più o meno paiono ancora sobri, il che forse potrebbe aiutarli nell’operazione. Per dire: la “tabella per la stima delle quantità di bevande alcoliche che determinano il superamento del tasso alcolemico legale per la guida in stato di ebbrezza, pari a 0,5 grammi per litro”, contiene i “livelli teorici di alcolemia raggiungibili dopo l’assunzione di una unità alcolica”, premette che i valori sono “indicativi” in base all’età, al peso, al sesso e al fatto di essere a stomaco vuoto o a stomaco pieno, e specifica che “se si assumono più unità alcoliche, per conoscere il valore di alcolemia raggiunto è necessario sommare i valori indicati per ciascuna unità alcolica consumata”. Dopodiché, elenca tutta una gamma di bevande: birra analcolica, leggera, normale, speciale e doppio malto, e poi vini, vini liquorosi, aperitivi, digestivi, superalcolici, champagne, spumante, ready to drink. Quindi, incrocia i relativi valori alcolici con una serie di categorie di peso, dai 45 ai 90 chili, e li suddivide in quattro quadri di riferimento, a seconda che si sia donne o uomini, a stomaco vuoto o a stomaco pieno.
Ogni voce, in relazione all’altra, dà un nuovo valore: che va dallo 0,01 prodotto dall’assunzione di una birra analcolica da parte di un uomo di 90 chili all’1,12 provocato dall’ingerimento di una birra doppio malto da parte di una donna di 45 chili. Nel mezzo, tutti gli altri casi e decimali possibili, cioè una sorta di incrocio fra le vecchie tabelline mandate a memoria alle elementari e la tavola periodica degli elementi che si studia in chimica.
Per un mojito in più
“Guarda”, mi fa Simona, che ha appena ordinato un mojito e a cui ho fatto notare la tabella in questione, “io sarò un caso limite, perché faccio fatica perfino a consultare l’orario dei treni. Però con tutti ’sti numeri non ci capisco niente”. Dato che lì sotto c'è anche la “tabella descrittiva dei principali sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica”, nella quale in base alla concentrazione di alcol nel sangue sono elencati gli effetti progressivi e le abilità compromesse di fianco alle sensazioni più frequenti, a partire da una iniziale sensazione di ebbrezza fino alla morte per arresto respiratorio, le chiedo fin dove si sia spinta lei in passato.
“Mah”, sorride. “Direi… sì, stordimento e difficoltà marcata a stare in piedi o camminare. E confusione. E vabbè, vomito”.
“Ti è mai capitato di guidare in quelle condizioni?”. “No, per fortuna al volante c’era sempre qualcun altro”. “Sobrio?”. “Più o meno”, glissa lei. Lascio Simona con il suo mojito al Lab, e raggiungo nel parco del Valentino il Fluido, club dove stasera c’è in console dj Luciano. Ormai è l’una passata, e il locale comincia a riempirsi. All’ingresso, subito dietro i ragazzi della security, le tabelle. Ma, di nuovo, non uno che si fermi a dare un’occhiata. Francesco, uno dei proprietari, sembra perplesso. “Fermare la carneficina sulle strade è sacrosanto”, dice. “Ho un figlio di vent'anni e so che cosa prova un genitore. Ma pensare che uno di questi ragazzi si metta a calcolare se può ordinare o no un alcolico in base a quei parametri e a seconda delle sue condizioni, beh, mi sembra poco realistico”.
La legge del chiosco
La musica intanto scalda la pista. Alle tabelle non bada nessuno. “Ovvio che non si deve dare da bere a chi si presenta alterato”, continua Francesco. “Ma come fai a stabilire con esattezza se un cliente può permettersi una birra in più? Chiedi a ciascuno quanti anni ha, se è a stomaco pieno, che cosa ha bevuto prima di entrare nel locale? A parte che uno può benissimo uscire, bersi quel che gli pare al primo chiosco e poi rientrare”. Scuote la testa. “La verità è che si tratta di un problema culturale. In altri Paesi, quando si esce, uno della compagnia a turno resta sobrio per guidare. E i prezzi dei taxi sono più bassi. Poi non c’è solo l’alcol: ormai fare nottata vuol dire esagerare, sempre. Se non si fanno anche di pasticche e cocaina, non si divertono”. Poco prima delle due, in via Principe Amedeo, c’è la coda di fronte al Lapsus. Ancora qualche minuto e poi, secondo la legge, non si potrebbero più servire alcolici. Uno dei ragazzi in attesa di entrare indossa una maglietta di Emergency. Magari sogna di andare a fare il volontario in una Ong, una volta finiti gli studi. Ma tra un paio d’ore i locali cominceranno a svuotarsi, e sarà il momento di tornare a casa. Questa sì, un’avventura.
Autore: Giuseppe Culicchia

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