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La Stampa

Ok il prezzo è giusto ... Il tempo dei grandi vini e dei grandi conti è finito. In periodo di crisi, si bada più a scegliere il vino che piace rispetto al blasone dell’etichetta... Bisogna ascoltarli i giovani, soprattutto quando si parla del “Vino che verrà”, visto che il futuro, anche in questo caso, sono loro. Un segnale importante viene da una recente indagine su status symbol e low cost: il 66% degli italiani ha intenzione di ridurre il proprio tetto di spesa nei prossimi 12 mesi andando alla ricerca del prezzo giusto, misurato sulle proprie esigenze reali e non su quelle suggerite dalla pubblicità o dalla voglia di mettersi in mostra. Una tendenza che conquista soprattutto le fasce più giovani dei consumatori: in particolare quelli dotati di un reddito medio-alto, di un livello di istruzione elevato e che navigano abitualmente su Internet. Insomma, si va alla ricerca del “miglior prezzo possibile”, perché il concetto che si diffonde è quello di pagare le cose il giusto nel rapporto tra qualità e desiderio. E. nel bicchiere, un’altra tendenza sempre più evidente è quella di versare vini che piacciono a chi li beve, non a chi li vende o a chi li magnifica per conto terzi. Anche qui il riferimento sono le nuove leve di consumatori, che certo vivono il fascino dei nomi più impegnativi nel panorama enologico, ma cedono alla malia solo qualche volta all’anno e solo se questi nomi corrispondono realmente ai loro gusti. Fenomeno sottolineato dalla richiesta, sempre più marcata in questa parte di pubblico (e non solo) per un ritorno verso “quota 12” (gradi). D’altronde basta dare un’occhiata a quel che si mangia normalmente oggi: dove sono i menu quotidiani che possono sopportare il peso di certe corposità e certe gradazioni? Volere o no, lo stile di vita è cambiato: soprattutto guardando ai giovani, il vino è più facile vederlo bere come aperitivo che a
tavola.

La lezione è finita. I soloni e gli opinion leader di cantina pare proprio abbiano fatto il loro tempo. Dopo il profluvio di aggettivi, profumi e sapori immaginifici spazzato via dal fantozziano grido di battaglia “è una boiata pazzesca”, ora tocca al resto dell’armamentario della persuasione occulta. Non c’è più quel timore reverenziale verso le valutazioni, da parte dei giovani produttori, né l’attesa del verbo di un giudizio che indichi come scegliere, da parte dei giovani consumatori. È il mercato, bellezza. I saggi, già anni fa, dicevano che la scrematura sarebbe arrivata, ed è successo più rapidamente sotto la spinta della crisi. Una scrematura iniziata proprio dalla ristorazione, che ha aggiustato il tiro, mantenendo in lista il “top wine” per chi ne ha voglia, ma puntando contemporaneamente forte su vini di qualità che non costino come un pasto intero. Nei ristoranti la lezione l’hanno capita sulla loro pelle: chi pretendeva di presentare conti da grande chef, senza esserlo, ha chiuso. Lo stesso rischiano di fare quei produttori che pensano basti un’azienda con blasone e una bella etichetta a giustificare prezzi da Gotha dei vini. Per avere un “ritorno al futuro” (in termini di resa economica) bisogna, tra il dare e l’avere, comportarsi seriamente e non voler diventare ricchi in fretta alle spalle degli altri. Il motto In vino veritas lo si può leggere anche da questo punto di vista.

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