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La Stampa

E il naufragar m’è dolce… con un fiasco di Chianti…L’ha dichiarato la bibbia inglese Decanter. Che ha eletto il vino toscano come l’unico made in Italy che valga la pena di essere portato su un’isola deserta. E, a proposito di isole, nasce un’alleanza per rilanciare l’aleatico dell’Elba…

Gli anglosassoni, si sa, hanno un debole per la Toscana, e in particolare per la zona del Chianti, che infatti è stata ribattezzata (scherzosamente ma non troppo) “Chiantishire” per l’assidua presenza in loco di inglesi e americani. La ciliegina sulla torta viene adesso dalla prestigiosa rivista britannica di enologia Decanter, che ha appena incoronato il Chianti Classico come “l’unico vino made in Italy che meriti di essere portato su un’isola deserta”. La rivista ha chiesto ai suoi collaboratori più autorevoli, Paese per Paese, di indicare un vino atto alla bisogna, e il suo corrispondente dall’Italia, Richard Baudains, ha indicato proprio il Chianti. Ovvio che non tutti, nel Belpaese, saranno d’accordo. Impossibile raggiungere l’unanimità su un argomento del genere. Come si motiva questa scelta di Decanter? “II Chianti Classico - spiega Baudains - è probabilmente il vino da pasto per eccellenza. Ma allo stesso tempo, nelle sue migliori versioni, non è mai ovvio, banale o troppo semplice. In più, la sua tipologia può spaziare dalla gioventù organolettica della versione Annata alla complessità offerta dalla versione Riserva. Ma il Chianti Classico è anche un vino capace di rivelare le diverse caratteristiche che derivano dalle diverse zone di produzione e dai diversi "cru", espresse da uno stile enologico altrettanto variegato, più o meno improntato alla tradizione”.

Va aggiunto che come compagno ideale di naufragio su un’isola deserta gli esperti britannici hanno scelto, in assoluto, lo champagne. Fra le altre indicazioni, si segnalano lo sherry dry “Amon-tillado” e due diversi tipo di riesling, uno della Mosella e uno dell’Alsazia. E ancora: Chambolle-Musigny, La Tache 1978, Hermitage bianco, Madiran, Vouvray e Madeira. Sempre per non annoiarsi sull’isola deserta di cui sopra. E il naufragar m’è dolce in questo mare. Lasciando da parte il Chianti ma restando in tema di isole e di Etruria, due nomi importanti dell’enologia della costa toscana si sono alleati per far riscoprire l’aleatico dell’isola d’Elba: in questo progetto si è imbarcato Piermario Meletti Cavallari, autore dell’Aleatico dell’Elba “Alea Ludendo” e del Bolgheri Superiore Grattamacco, con il sostegno di Nicolò Incisa della Rocchetta della Tenuta di San Guido, il più grande tra i “bolgheresi”, con il suo Sassicaia. La sfida è partita da Tenuta delle Ripalte, proprietà a cui è associato Meletti Cavallari, 450 ettari complessivi ubicati all’estremità sud-orientale dell’Elba, dove, in tempi lontani, i Greci introdussero l’aleatico per la prima volta in Italia. Fu l’inizio di una lunghissima storia di successo. Dopo l’Antichità e il Medioevo ci fu un salto di qualità nel Rinascimento. Ai tempi dei Medici, l’isola d’Elba produceva più vino del Chianti, e l’aleatico occupava un posto di assoluta preminenza. Nuovi lampi si videro nei secoli successivi. Sotto la breve dominazione napoleonica la viticoltura elbana ebbe un notevole sviluppo qualitativo, e l’aleatico divenne l’espressione più alta del territorio.

Poi, dopo millenni di fortuna, per il vino dell’isola d’Elba ci fu un periodo di oblio. Solo di recente la produzione è tornata a essere espressione di eccellenza. Questo ha convinto Meletti Cavallari a sollecitare il rilancio della Doc elbana, un progetto immediatamente condiviso da Incisa della Rocchetta, che è diventato uno dei più importanti sostenitori dell’aleatico. A suo giudizio questo vitigno presenta una sfida e potenzialità analoghe a quelle del suo Sassicaia. L’obiettivo è diffondere la conoscenza di questo vino passito sul mercato internazionale, poiché, spiegano i due produttori, “se i buoni ristoranti e le enoteche più importanti del mondo non propongono l’aleatico, questo vino è come se non esistesse”. Da segnalare anche agli esperti britannici per una definitiva consacrazione globale.


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