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La Stampa

Ad ogni Barolo il nome storico della sua collina ... Sull’etichetta vince la logica del territorio... Si fa presto a dire Barolo. In una produzione annua di oltre 10 milioni di bottiglie, c’è una punta d’eccellenza che ha fatto di questo vino uno dei simboli più biasonati dell’enologia italiana. Sono le bottiglie che provengono dai cru storici, ossia i vigneti che hanno la fortuna di trovarsi nelle posizioni migliori sulle colline di Langa. Cannubi, Bussia, Brunate o Cerequio sono solo alcuni dei nomi diventati famosi in tutto il mondo, vero e proprio vanto dei produttori. Sebbene già da tanti decenni siano sinonimo di qualità per gli intenditori, i cru diventeranno presto ufficiali, entrando a far parte del disciplinare di produzione. L’annuncio è stato dato venerdì ad Alba durante l’inaugurazione di Vinum, la grande rassegna che ancora per oggi mette in vetrina nelle vie e nelle piazze della città il meglio dell’enologia piemontese. “Dopo un lungo lavoro di censimento e definizione dei confini - ha detto il vicepresidente del Consorzio di tutela albese, Giovanni Minetti - abbiamo inoltrato al ministero per le Politiche agricole la richiesta di modifica con l’inserimento delle menzioni geografiche aggiuntive, che potranno così essere ufficialmente riportate in etichetta, insieme al nome Barolo”. Un percorso identico, ma con un paio d’anni di anticipo, è stato compiuto anche per il Barbaresco, l’altro grande figlio del nebbiolo: cru come Rabajà o Asili hanno ottenuto il decreto ministeriale nel febbraio 2007, insieme con altre 65 menzioni geografiche sulle colline di Barbaresco, Neive, Treiso e Alba. “E’ un traguardo storico - spiegano dal Consorzio -. Barolo e Barbaresco sono i primi vini italiani ad aver realizzato una mappatura completa delle zone di produzione, indicando non solo i vigneti attuali, ma anche quelli che potenzialmente potrebbero essere realizzati in base alle qualità agronomiche del terreno e alle politiche di mercato”. Presto questi risultati saranno accessibili a tutti, via Internet: con pochi clic del mouse, anche l’appassionato nel luogo più sperduto potrà rintracciare il vigneto da cui proviene la bottiglia che ha in tavola, conoscendone tutte le caratteristiche. Un po’ come accade con i grandi vini francesi, ma con una sostanziale differenza. Se Oltralpe la classificazione dei cru connota vini di qualità superiore, per ora in Langa la distinzione è puramente geografica e indica l’origine più precisa dei vini prodotti e commercializzati. Anche per questo le menzioni del Barolo hanno raggiunto quota 166: una cifra esorbitante, se si pensa che il primo tentativo di classificazione delle sottozone del Barolo, compiuto da Renato Ratti all’inizio degli anni Ottanta, ne comprendeva poco più di trenta. Ma dal punto di vista dell’identità territoriale il passo è epocale: “L’introduzione delle menzioni geografiche aggiuntive consente di esaltare il legame tra prodotto e territorio, anche in chiave turistica, e di avere la massima chiarezza in etichetta a vantaggio del consumatore” dicono l’assessore al Turismo del Comune di Alba, Raffaella Delsanto, e il presidente di Go Wine, Massimo Corrado, che organizza Vinum. Resta ancora un nodo da sciogliere: se i francesi hanno a disposizione una parola semplice e intraducibile come “cru”, chi saprà trovare un termine italiano in grado di sostituire l’ostica locuzione “menzione geografica aggiuntiva”?

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