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La Stampa

Operazione tolleranza per il vino biologico ... La via dell’Inferno è lastricata di buone intenzioni. Un detto che si adatta perfettamente alle recenti riforme dell’Unione europea in campo vitivinicolo. Ad esempio, quando venne presentato il primo documento sull’Ocm del commissario europeo Fischer Boel, le premesse erano perfette tanto che c’era quasi da pizzicarsi le guance per essere sicuri di essere desti. Poi, però, se si analizzava il seguito del suo scritto si rabbrividiva di fronte alle conclusioni, che rincorrevano un modello già allora votato alla disfatta come quello australiano.

A distanza di qualche anno la storia sembra ripetersi con la riforma denominata Orwine, un tentativo di proporre finalmente un disciplinare europeo per il vino biologico. Fino ad oggi, infatti, si poteva parlare esclusivamente di vino prodotto da agricoltura biologica, non certo una questione di lana caprina. Se si esamina con la dovuta attenzione il documento (www.orwine.org) si legge un preambolo molto convincente che afferma come i consumatori chiedano in questo campo alcuni utili chiarimenti, definendo con precisione la reale identità dei vini biologici. Detto questo si enunciano gli obiettivi di limitare l’uso di alcuni additivi che possono influire sull’espressione del territorio e sulla salute, di abbassare i livelli di solforosa rispetto al convenzionale e di indicare quali sostanze non potranno essere utilizzate e quali invece permesse.

A questo punto ci si aspetterebbe un disciplinare molto rigoroso e teso a non alterare in cantina la naturalità delle uve biologiche. Al contrario le attese sono quasi tutte deluse: scorrendo le righe del documento pare di essere capitati in una galleria degli orrori con sostanze che nessun vignaiolo convenzionale coscienzioso utilizzerebbe mai. La solforosa è a livelli assurdi (con una diminuzione prevista solo del 20% rispetto ai massimali consentiti ora), libertà nell’uso di lieviti selezionati e delle chips, batteri lattici per la malolattica, attivanti di fermentazione, gomma arabica, tannini aggiunti, chiarificazione con gelatine, albumina e betonite. Se le cose rimanessero così il vino biologico sarebbe alla portata di tutti, una vera e propria truffa legalizzata, ai danni della buonafede del consumatore e dei vignaioli che fanno della naturalità una propria ragione di vita.

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