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La Stampa

Chianti, il brindisi taroccato ... Blitz delle Fiamme Gialle in 42 aziende: sequestrati 5 milioni di litri adulterati... Lo choc. Dopo lo scandalo del Brunello dell’anno scorso finisce sotto inchiesta un altro prodotto simbolo della Toscana... L’accusa. Nelle bottiglie “garantite” sono state trovate tracce di additivi chimici e altri vini rossi di infimo livello... Povera Toscana del vino, umiliata dalle mode e (peggio) dalle frodi. Un anno fa Brunellopoli, ora Chiantopoli. Cinque ettari sequestrati a un’azienda di Castellina in Chianti, chiusa per motivi igienici dai Nas. Bloccati duemilacinquecento ettolitri di mosto (taroccato) pronti per essere venduti. Non solo: 5 milioni di litri di vino di Chianti e Igt toscano sequestrati dalle Fiamme Gialle senesi. Coinvolte 17 persone e 42 aziende. Claudio Martini, Presidente di Regione, garantisce che seguirà il caso “con l’attenzione che merita”, ma intanto la Toscana resta la regione del tutto e il suo contrario: da una parte il varo del Manifesto dei Piccoli Vigneron (pochi giorni fa a Firenze) e il lavoro rigoroso di produttrici come Giovanna Morganti, presa a esempio dalla rivista Porthos (approdo degli amanti del vino naturale). Dall’altro il sistematico spregio di natura, tradizione, disciplinare. Qual è la vera Toscana? Qualità e territorialità sono regole o eccezioni? Nel Chianti la sperequazione raggiunge il livello massimo. Lo spiega Giovanni Manetti, lodato vigneron (biologico) di Fontodi a Greve in Chianti. “Io sono ottimista, perché il caso di Castellina è atipico e la moda dei Supertuscans sta scemando, ma i cambiamenti sono lenti. Il sangiovese è difficile e il Chianti nasce come uvaggio. Fino al 1984 si potevano usare vitigni bianchi e oggi il disciplinare impone solo un 80 percento di sangiovese. Dentro il restante venti per cento può entrarci di tutto, basta sia a bacca rossa”. Manetti produce il Flaccianello, prodigioso cento per cento sangiovese che per non rientra nella Docg del Chianti Classico. Non è il solo: Pergole Torte, Cepparello, Percarlo. Non è detto che la dicitura Chianti funzioni nel mercato. A Greve c’è anche Valeria Vigano con l’ottima Le Cinciole. “Le frodi mi feriscono, perché il vino per me è come un figlio, qualcosa che ti rispecchia: sei te stesso dentro una bottiglia. Non c’entra essere piccoli o grandi produttori: c’entra l’etica”. Che spesso latita. “I vitigni migliorativi sono una rovina, anzitutto per il Chianti. Che nasce come vino da tutto pasto. Poi può anche avere i muscoli, dipende dall’annata, ma le sue qualità primarie devono essere bevibilità e versatilità a tavola”. Un tempo il Chianti era quello del fiasco. E adesso? “È cambiato tutto”, racconta Giovanna Tiezzi, il cui Chianti Colli Senesi è un esempio sontuoso di qualità unita a basso prezzo (12 euro). Ogni tanto capita, anni fa la Cooperativa Valdarnese Paterna fece gridare al miracolo con un Chianti dal costo contenuto. L’azienda di Tiezzi è a Castelnuovo Berardenga, si chiama Pacina. Era un convento, la cantina è di tufo. “La denominazione Colli Senesi è sfortunata perché immensa. Dentro ci sono anche Montalcino e Montepulciano, che la usano per le uve peggiori. Noi facciamo due Chianti. Uno, giovane e semplice: è il nostro vino sfuso, quello da damigiana . Poi c’è la prima scelta. Esposizione perfetta e territorio benedetto: un buon Chianti nasce così”. Sì, ma perché ciclicamente la Toscana fa scandalo? “Perché la maniera più facile per fare soldi sembra quella di addomesticare il sangiovese. A Castellina si è andati oltre: vini di pessimo livello spacciati per Chianti. Che poi neanche sono vini, ma orrendi liquidi rossi, come nei cartoni al supermercato. Non sai cosa ci sia dentro e quali artifici chimici abbiano usato”. Ma i controlli? “Latitano. Non sono mai rigorosi. Si figuri, a me ogni volta vogliono bocciare il Chianti perché ha poca solforosa: un pregio per la salute, ma non per la legge”.

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