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La Stampa

In banca i “future” sul vino ... Ma la Consob avverte: non sono prodotto né strumento finanziario... I future sul vino non sono un prodotto e nemmeno uno strumento finanziario. Secondo la Commissione nazionale per le società e le Borse, dunque, non esiste l’obbligo di presentare un prospetto informativo da parte del produttore che fornisce ad una banca certificati da vendere agli sportelli. Insomma, chi vuole investire nei cosiddetti certificati “en primeur”, che danno diritto a ricevere una bottiglia di vino al termine del periodo di maturazione, deve fidarsi della serietà dei produttori. La Consob, su richiesta di Antonveneta, fissa i confini all’interno dei quali i future del vino possono essere venduti allo sportello. Il primo: i certificati “appaiono esclusi dalla nozione di strumento finanziario” e non prevedono forme di regolamento del contratto alternative alla consegna fisica del vino. Il secondo: “Non risultano estranei a scopi commerciali, né assimilabili ad altri strumenti finanziari derivati”. Oltre a non essere uno strumento finanziario, i certificati non sono da ricomprendere nella nozione di “prodotto finanziario” perché i certificati non implicano un’attesa di profitto del capitale investito, ma “esclusivamente il diritto a ricevere una certa quantità di vino a scadenza”. La banca, d’altra parte, nel collocare i certificati non garantisce una forma di rendimento, ma si limita a garantire il valore facciale del certificato nel caso in cui, non sia possibile consegnare il vino a scadenza. Le indicazioni della Consob, dunque, fanno chiarezza in un mercato dove le grandi bottiglie di vino continuano ad essere comunque un investimento garantito. Le ultime statistiche riportano un aumento medio nel valore delle bottiglie di circa il 322% confrontando i prezzi con le battiture medie negli ultimi 10 anni. Basti pensare che il 70% di incremento lo raggiungono le quotazioni 2008 paragonate con le stesse annate nel 2007. Ci si esprime in maniera ancora più performante con i grandi formati. A dire il vero i “wine future” hanno avuto una diffusione limitata. Sono stati i big del Brunello ad introdurli in Italia. Una pratica che è stata poi sperimentata anche da famosi produttori di vini siciliani. Ma l’utilizzo limitato del nuovo strumento ha permesso di evitare di affrontare quella che in Francia è conosciuta come la “bolla del Bordeaux”, dove gli speculatori dopo il successo dell’annata 2005 hanno giocato al rialzo scommettendo su bottiglie ad altissimo livello, e ad altissimi prezzi. Claudio Rosso, presidente del Consorzio di Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Roero è soddisfatto perché “l’eccesso di mitizzazione del vino, anche quello di alta qualità, non è utile a nessuno. Il vino è un prodotto prezioso ma anche un bene di uso corrente”. E dunque “ben venga il fatto che anche la Consob riconosca che il vino non è uno strumento finanziario ma un bene materiale”. Un bene soggetto a rischi e dunque dal punto di vista “teorico può assomigliare parecchio ad un prodotto bancario-finanziario”. Del resto i certificati mettono in gioco “il rapporto tra produttore e consumatore che prenota un bene raro e prezioso pagandolo in anticipo per assicurarsi la fornitura”. Rosso sottolinea con forza il fatto che l’utilizzo di questi certificati si basa “sulla fiducia che il prezzo del prodotto sarà sempre in forte crescita o che lo specifico tipo divino si esaurisca in tempi brevissimi”. Anche Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi, commenta positivamente le indicazioni Consob perché fanno “chiarezza” e rendono trasparente un “rapporto privato e di fiducia tra il produttore e l’investitore”.

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