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La Stampa

Il brindisi anticrisi da un miliardo di euro ... L’industria del vino regge, boom di occupati e di aspiranti enologi... Sentore di liquirizia, retrogusto amarognolo, aroma persistente. Ma è ancora questo il linguaggio per parlare di vino? Da Verona, dove si è aperta ieri la grande fiera del Vinitaly, la risposta non è una sola. Tanti sono i fattori che aleggiano tra i 4200 espositori schierati nei 12 padiglioni del “Pianeta vino”: la “grande crisi” ancora in corso, il continuo cambiamento dei consumi, l’allargamento dei mercati e della concorrenza, le nuove sensibilità ambientali, lo spauracchio dell’etilometro. Elementi che, insieme, scatenano tendenze diverse: l’attenzione al rapporto tra qualità e prezzo, la richiesta dei consumatori di conoscere non solo ciò che arriva nei calici, ma anche come si lavora in cantina e come si conducono i vigneti e i cambiamenti nei consumi: dopo il boom del vino al bicchiere e dei nuovi formati, si affacciano nuove idee come il “bottle sharing”, la bottiglia condivisa al ristorante tra clienti che non si conoscono. Luca Zaia, ministro dell’Agricoltura uscente, non usa mezze parole contro chi vuole portare a zero il limite del tasso alcolemico in auto (“un’autentica cazzata”) e sulla crisi dice: “Abbiamo superato il momento in cui si vedeva la luce in fondo al tunnel, ora vediamo il sorgere del Sole”. A dargli manforte c’è un’indagine di Veronafiere secondo cui le aziende hanno dimostrato una buona tenuta: il 36,3% ha registrato, nel 2009, un aumento del fatturato, mentre il 30,8% è rimasto stabile; meno di un terzo hanno visto peggiorare la situazione. Nel vino made in Italy, oggi, lavora ormai un esercito di 1,2 milioni di persone e ogni grappolo raccolto è in grado di attivare 18 settori diversi. E gli italiani, solo l’anno scorso, hanno speso 1,2 miliardi di euro per un buon bicchiere. L’incremento è stato del 4% rispetto all’anno precedente. Intanto si registra il boom di iscrizioni alle scuole enologiche (+86%). Ad ascoltare i produttori, comunque, i chiaroscuri non mancano. “È il mercato a decidere i prezzi - dice Giovanni Minetti, direttore di Fontanafredda, azienda che nelle Langhe sforna 2,5 milioni di bottiglie di vino e 4 milioni di spumante -. La sfida è produrre qualità sempre più alta a cifre sempre più competitive, trovando nuove forme per convincere i consumatori. Anche perché, a livello mondiale, sotto i 10 euro la bottiglia c’è il 97% del mercato del vino”. Per Giuseppe Mazzocolin, cuore della senese Fattoria di Fèlsina, “Il vino deve avere la sua accessibilità e non può essere identificato solo nel prezzo. Bere vino è un atto culturale, non solo un fatto edonistico: richiede il rispetto di chi lavora in vigna e in cantina”. Un fattore che anche gli addetti ai lavori hanno iniziato a tenere in considerazione. Proprio oggi Slow Food presenta al Vinitaly il progetto della sua nuova guida ai vini italiani e Giancarlo Gariglio (curatore, insieme con Fabio Giavedoni, del volume) spiega: “Abbiamo pensato di offrire più chiavi di lettura e meno punteggi. Ci saranno tre sezioni e altrettanti simboli: la moneta per il vino quotidiano, la bottiglia per il vino d’eccellenza e la chiocciola per i vini slow, quelli che tengono in considerazione la sostenibilità”. Forse, è così che sentore, retrogusto e aroma non suonano come parole vuote e riacquistano tutto il loro sapore.

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