La Stampa

L'equilibrio tra qualità e giusto prezzo ... La parola “qualità” è sempre più usata e sempre più priva di significati concreti. È una sorta di parola astratta e, come scriveva de Tocqueville, “una parola astratta è come una scatola a doppio fondo: vi si collocano le idee che si vogliono e le si estrae quando più fa comodo”. A cosa ci si riferisce quando si parla di qualità del cibo? All'eccellenza organolettica? Alla qualità merceologica? A quella igienico-sanitaria o a quella certificata? Sarebbe più utile poter disporre di un'etichetta esauriente, veritiera, piuttosto che di uno dei tanti contrassegni certificanti non si sa bene che qualità. Ma una siffatta etichetta è di là da venire. Si continua a parlare di tracciabilità, ma quando si arriva ai tavoli istituzionali, l'agroindustria oppone un'assoluta contrarietà all'ipotesi di indicare ad esempio l'origine delle materie prime o l'utilizzo dei cosiddetti coadiuvanti tecnologici (enzimi, fermenti, starter, ecc. non vengono mai segnalati in etichetta!). E della tracciabilità - che ancora non c'è - il termine «qualità» è il succedaneo più utilizzato, e se applicato a un prodotto alimentare, giustifica quasi sempre un prezzo mediamente più alto di quello corrente. Lo conoscete il mantra che recitano i produttori quando debbono dare spiegazioni di prezzi alti: si tratta sempre di un buon rapporto prezzo/qualità. Quantificare la qualità di un prodotto è esercizio complesso e comunque impreciso, figurarsi poi rapportare tale qualità a un prezzo equo. Non a caso il Salone del Gusto è stato pensato come una grande macchina educativa: se si vuole si può procedere ad un cauto riconoscimento della qualità come la vede Slow Food. Ne parleremo nell'incontro “La qualità al giusto prezzo” sabato 23ottobre alle 18.