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La Stampa

Fornai in rivolta “Il pane dei contadini è concorrenza sleale” ... Un decreto permette di vendere i prodotti coltivati e poi lavorati. E c’è anche uno sconto sulle tasse... Chiesto un incontro con il ministro “oppure sarà mobilitazione”... La guerra del pane si combatte perché “se la signora Maria va a fare la spesa e trova un prodotto che costa il 30% in meno è chiaro che la compra dal contadino”, spiega Luca Vecchiato, panificatore in quel di Padova e leader dei 26 mila colleghi di tutta Italia. Il “nemico”, in questo caso è il coltivatore-panettiere. Claudio Vittone titolare dell’azienda agricola la Genuina di Barge, in provincia di Cuneo, non si considera in guerra e contesta anche l’accusa di concorrenza sleale: “Io faccio il pane come lo si faceva una volta e la signora Maria la incontro solo alle sagre paesane o perché verrà a comprarsi il pane nella mia azienda”. Per ora sono le schermaglie di una polemica che rischia di ingigantirsi. I panificatori hanno chiesto un incontro con il ministro dell’Agricoltura e se “la politica ci ignorerà saremo costreti alla mobilitazione generale”. Facciamo un passo indietro. Un decreto del ministro dell’Economia dà la possibilità alle aziende agricole di trasformare e commercializzare i prodotti della terra. Una decisione che Coldiretti, Cia e Confagricoltura hanno accolto con favore. Per Vecchiato, invece, potrebbe essere l’inizio della fine: “Noi non siamo contro la liberalizzazione ma chiediamo parità di condizione. Se non si blocca adesso questo Far West il destino di 350 mila lavoratori e dei 26 mila forni artigianaliè segnato”. E’ davvero così? Vittone spiega: “Io coltivo grano duro e lo trasformo in farina. Finora facevo pasta secca adesso ho chiesto il permesso all’Asi per utilizzare un vecchio forno aziendale e fare il pane. Facciamo tutto noi e non facciamo certo concorrenza a chi fa il pane tutti i giorni”. E aggiunge: “Noi copriamo una nicchia di mercato quella dei consumatori che cercano il pane di una volta e che dura anche una settimana”. La tesi di Vittone è rilanciata dalle organizzazioni agricole alivello nazionale. Secondo Coldiretti “dagli agricoltori potrà essere acquistato solo il pane fatto con ilgrano italiano coltivato nelle aziende mentre oltre la metà di quello in vendita è ottenuto con farine straniere senza alcuna indicazione in etichetta”. Confagricoltura e Cia difendono il provvedimento perché “finalmente è stato definito che per avere un pane di qualità, così come una birra o una grappa, sono necessarie materie prime di qualità, con una complementarietà importante che dà modo alle imprese agricole di ampliare l’offerta produttiva”. Insomma, più valore aggiunto per circa 200 mila agricoltori che coltivano grano duro adatto alla produzione ma evidenti problemi per i panificatori. Soprattutto se si prende in considerazione che nel corso del primo semestre del 2010 il consumo di pane da parte delle famiglie è diminuito del 2,4%. E il mercato deve anche fare i conti con la concorrenza della grande distribuzione che vende prodotti surgelati, preconfezionati e in cassetta.
Si spiegano così i timori di Veechiato: “Ci troviamo a dover competere con una categoria di privilegiati fiscali, la cui pressione è di oltre il triplo inferiore alla nostra, con un regime forfetarioche si ferma al 15%”. E aggiunge: “Un paradiso fiscale rispetto al comparto della panificazione artigianale, che tra imposte dirette e indirette sconta circail 52% di tasse sul reddito trasformato. Gli agricoltori saranno i benvenuti nel nostro mondo ma solo a patto che ci sia equità e pari condizioni”. E poì “non è vero che il coltivatore-panettiere produrrà il pane solo con farina italiana” perché “visto che l’Italia nonè autosufficiente le farine acquistate proverranno inevitabulmente anche dall’estero”.

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