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La Stampa

Ora nel vino non ci batte nessuno ... Superata la Francia nella produzione, ma quello che conta di più è la qualità... Un primato dal sapore provinciale... Italia batte Francia, ma il tema del contendere non sono i mitici mondiali dì calcio, ma la quantità di vino prodotto: 49,6 milioni di ettolitri nostrani contro i 46,2 francesi per la vendemmia 2010. C’è proprio da godere di fronte a un primato che assomiglia a quei pranzi di matrimonio con tantissime portate, dove in realtà tutti cercano di stare a dieta? Certo, un primato è un primato e quello della quantità del vino fra Italia e Francia è come un tormentone che ci rincorre da almeno cmquant’anni e non è la prima volta che arriviamo a superare i “cugini” d’Oltralpe. Ma poi - vien da chiedersi - chi se lo beve tutto questo vino in surplus che oggi riempie le cantine di Sicilia, Toscana, Veneto e anche del nostro Piemonte. Regioni nelle quali, a fronte di un incremento delle esportazioni (la Coldiretti parla di un salutare +15% nel primo semestre del 2011) c’è sempre una costante contrazione dei consumi interni? Alzare la bandiera dei primi in quantità appare insomma anacronistico, mentre sono ben altri i primati che dovremmo celebrare. Quali? Per esempio quello di aver salvaguardato il patrimonio del nostro germoplasma, che vanta una collezione di vitigni autoctoni - circa mille - unica al mondo (dietro di noi, per referenze di vitigni, abbiamo solo la Georgia). Questo sì è un primato di cui andare orgogliosi, ancor più oggi che, di fronte alle chimere degli enologi creativi che volevano mettere cabernet e merlot ovunque, abbiamo un esercito di giovani vignaioli con le idee ben chiare in testa. E quando dicono Italia - in termini di vino - sanno su cosa puntare: sulla qualità, che hanno ereditato dall’empirismo dei loro nonni e che oggi segna quella differenza, quella caratteristica che crea interesse intorno al vino italiano. Detto questo, la festa per il primato quantitativo del vino somiglia un po’ alla soddisfazione dei cugini poveri, che non hanno ancora addentato veramente la sostanza. La rivalità tra paesi confinanti è nota e umanamente anche lecita, ma quando si parla di vino, e qui prendo in prestito le parole dell’indimenticato conte Riccardo Riccardi di Santa Maria di Mongrando, si tratta di una cosa seria. E serietà per serietà, pur avendo nelle vene sangue misto a Barbera, trovo comunque fuori luogo un sottile sentimento di rivalsa misto a demonizzazione per ciò che si produce Oltralpe. O meglio: non sarà a chilometro zero, ma lo Champagne è pur sempre una gran cosa, mentre il rosso di Borgogna merita rispetto e considerazione. Il confronto dialettico coi francesi, anche in termini produttivi, del resto c’è sempre stato, e il Barolo che beviamo oggi è il connubio dell’intuito dell’enologo Louis Oudart, che non era certo di Poirino, e del conte Camillo Benso di Cavour. Già, sono passati 150 anni e poco più, l’Italia stava nascendo e paradossalmente i “nostri” avevano una concezione dei confini enologici ben più ampia di quella che mostriamo di avere oggi. A volte la storia qualcosa di positivo insegna: se ci si confronta si cresce. Per questo oggi non levo il calice per un primato che minaccia d’essere un problema; lo leverò quando i dati della vendemmia 2010 mi confermeranno ovunque un fatto: oggi anche noi, qualitativamente parlando, sappiamo fare il grande vino.

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