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La Stampa

“Ma attenzione agli emergenti in Cina e Brasile” ... Il sommelier Luca Gardini: dopo California, Australia e Cile i concorrenti si moltiplicano... Il romagnolo Luca Gardini i francesi li ha già battuti sul campo, o meglio nel bicchiere, aggiudicandosi a soli 29 anni il titolo di campione del mondo dei sommelier, lo scorso ottobre nella finale di Santo Domingo. Una prova durissima, che impegna non solo palato e naso: bisogna conoscere tutti i vini del mondo e la loro storia, gli abbinamenti ideali, le annate migliori, le temperature di servizio e tutto ciò che ruota intorno alle grandi bottiglie. Dalla conquista del titolo alcune cose sono cambiate. Il Lionel Messi dei degustatori (stesso fisico minuto e stessa voglia di stupire) ha lasciato il ristorante milanese pluristellato di Carlo Cracco e si appresta a girare il mondo come “wine star”, consulente di grandi marchi.

Lei ha contratti dalla Ferrari degli spumanti all’acqua Ferrarelle. Insomma, la figura del sommelier si evolve e diventa quella di un consulente del gusto globale a tavola.

“Nel mio caso vorrei riuscire a sottolineare l’importanza del made in Italy come concetto di qualità complessiva e come sintesi di uno stile di vita ben preciso. Del quale, naturalmente, il vino è la punta di diamante, certo non l’unica manifestazione”.

I francesi ne hanno fatto un emblema di prestigio da sempre.

“Noi ci siamo arrivati dopo, questo è vero. Ma è altrettanto vero che negli anni abbiamo recuperato terreno e ormai ce la possiamo giocare ad armi pari con tutti, a cominciare dai francesi. Dobbiamo però fare molta attenzione alle altre nuove realtà che stanno emergendo, e non parlo solo di Australia o Cile, che ormai sono emerse da tempo: penso anche alla produzione della California, che si è consolidata molto negli ultimi tempi, e a certe sorprese che potrebbero arrivare nell’immediato futuro dai paesi emergenti, per esempio dalla Cina o dal Brasile. Io farei molta attenzione a non lasciarmi cogliere impreparato, la sorpresa potrebbe essere dolorosa”.

Il cliente più difficile da accontentare?

“Chi crede di saperne molto e in realtà conosce solo superficialmente un vino. In questi casi bisogna convincerlo con tatto e un po’ di psicologia, accompagnarlo nella direzione giusta senza dare l’impressione di imporsi. Personalmente, preferisco le donne: osano di più, magari azzardano un po’ sui rosé ma hanno meno schemi predefiniti e riescono a superare senza troppe difficoltà il classico cliché del bianco secco obbligatorio quando si mangia il pesce”.

Lei è famoso per il suo palato. Un vino le parla?

“Diciamo che in trenta secondi capisco di che si tratta, il resto mi serve ad affinare la conoscenza”.

Quali sono le sue bottiglie mito?

“Quelle che non ho ancora assaggiato. Vorrei incontrare un Dom Perignon 1921 e conoscere qualche Barolo dei primi decenni del Novecento: il più vecchio che ho degustato era del 1947, un patriarca da gustare ad occhi chiusi”.

Proprio a Barolo le hanno dedicato il 2007, l’ultima annata uscita dalle cantine.

“È l’anno di nascita di mia figlia Alice, la scelta mi ha emozionato molto. Il Barolo è stato il primo vino italiano a reggere il confronto con i grandi francesi di Borgogna e Bordeaux. Merito di tanti, a cominciare da Cavour che in Francia, oltre al vino, ci mandò anche la cugina contessa di Castiglione a conquistare alla causa italiana il cuore di Napoleone III: vino e charme, la formula non cambia neppure un secolo e mezzo dopo”.

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