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La Stampa

Ma la stagione giusta non è questa ... Ci sono tutto l’anno, proprio loro o il loro profumo,il loro gusto. Li trovi dovunque, sui piatti, in alternativa alla macinata di pepe o alla striscia di un dozzinale aceto balsamico a Indicazione geografica protetta, fatto rapprendere da un cuoco furbastro alla fiamma bruciante del fuoco diretto. Da oggetto dell’immaginario collettivo, da esperienza antropologica, il tartufo sta diventando, quasi, un luogo comune. Ci sono due aceti balsamici (uno “balsamico” e basta, l’altro “tradizionale”): hanno parte del nome in comune, ma sono due cose diverse. E coi lo stesso capita per il più celebre dei funghi (mi raccomando: il tartufo è un fungo, un fungo ipogeo: chi lo chiama “tubero” è un ignorante, nel senso letterale “che ignora”, e l’ha scambiato per una patata). Anche il culatello si può fare tutto l’anno: è così che fa l’industria, ma il maiale è da migliaia di anni che si ammazza in inverno, con il freddo. E il freddo, le
prime nebbie, i silenzi dei boschi non più verdi ma giallo- rossi, sono l’ambiente e il momento ideale, quando il tartufo (parliamo di bianco) è al suo massimo splendore. Ora, nel 2011, si pretende di cavarlo quando si toccano i 30 gradi! Ma la natura è violata anche dal punto di vista commerciale: da dove vengono tutti i tartufi (e la stessa domanda vale per molti funghi)?
Finché il legislatore non avrà comandato una “targa” di provenienza, la Dop o la Igp, si potranno continuare a creare primati di quantità sulla carta, ma la natura non segue la pubblicità. L’Italia è tutta (o quasi) una tartufaia, ma non è l’unico Paese ad avere tartufi (e funghi). E se poi i tartufi non ci sono, ecco l’altro problema per il consumatore: spesso, in molti ristoranti, l’aroma inebriante del più prezioso dei funghi nasce dalla chimica, con gli esiziali prodotti delle provette. In attesa che anche qui il legislatore veda e provveda, cerchiamo i tartufi solo nella stagione giusta.

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