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La Verità

Gutturnio, la meraviglia in rosso dei colli piacentini ... Fate conto che il grande fiume sia l’armonia e le colline intorno la sinonia. Poi ci sono i contrappunti: i castelli. Appare così questo pezzo di terre nobili, inciarpate di nebbie chiamate in genere colli piacentini, dove respira la gloria di Giuseppe Verdi. Vanno godute con calma. Affascinano col culatello, il prosciutto, la spalla cotta di San Secondo, la pancetta, i salami. Stupiscono con i castelli che punteggiano il ducato di Parma e Piacenza e andare per questi luoghi dà una dimensione sensuale del viaggio tra afrori di stalla, ruscellare d’acque, sapori forti e geometrie di pensieri non euclidee. Così si giunge a Torre Fornello. Un maniero gentile e fiero del `400, pare, corredato di fantasma. Ha una storia questa tenuta con i vigneti tra i contrafforti della Val Tidone che sfuma nella leggenda. La cura Enrico Sgorbati, giovane imprenditore che ha ricevuto dalla sua famiglia il testimone di questo luogo di pregio assoluto. Ha riportato Torre Fornello agli splendori di quando era feudo dei conti Zanardi Landi e in particolare di quando donna Luigia vedova dell’ultimo Zanardi impose per testamento che mai la proprietà fosse smembrata. Così oggi Enrico l’ha ridefinita come una cantina di grande qualità. Produce gli autoctoni della zona (l’Ortrugo bianco a cui converrebbe dare più attenzione) la Malvasia, fa ottimi spumanti metodo classico e dei rossi di nerbo con vitigni internazionali. Ma voglio dare lustro a un vino antichissimo che non ha purtroppo l’allure che merita: il Gutturnio. La versione frizzante è quanto di meglio si possa chiedere per abbinamento con i salumi (quello di Torre Fornello è un metodo Martinotti lungo, ha profumo intenso e piacevolezza di beva) ma il Superiore “Sinsal”, rosso fermo e uvaggio, sì come suole, di Bonarda (40%) e Barbera (al 60%, siamo all’incrocio tra Emilia, Oltrepò e appennino ligure) che fa breve passaggio in barrique è incantevole ed elegante. Al bicchiere è rubino carico, all’olfatto offre polpa di prugna, venatura di viola, consistente marasca e un po’ di sfalcio. Al palato è morbido all’incontro, poi rivela i tannini dolci e finisce sostenuto su toni fruttati. Da arrosti, da selvaggina, da formaggi stagionati, ma anche da pisarei e fasò. lo l’ho trovato incantevole con la spalla di San Secondo brasata e un po’ di torta fritta.

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