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SICILIA EN PRIMEUR

La vite ed il vino intrecciati alla storia e ai patrimoni Unesco nella Sicilia “continente enoico”

Dall’Alberello di Pantelleria alla Val di Noto, dalla Valle dei Templi alle Eolie. Una ricchezza, di cultura e vino, nel calice, con la vendemmia 2018

La Vite ad Alberello di Pantelleria è, probabilmente, il patrimonio Unesco più facile da legare al vino di Sicilia. Eppure, nel continente “enoico” dalle mille anime, scrigno di una varietà di vitigni autoctoni, antichi ed internazionali capaci di raccontare un mosaico vinicolo che va dalla potenza del Nero d’Avola all’eleganza del Nerello Mascalese, dall’aromaticità di Malvasia e Zibibbo alla piacevolezza del Grillo, per fare qualche esempio fra i tanti, sono tanti, forse che in nessun altro luogo al mondo, i patrimoni dell’umanità che tra paesaggio, architettura e storia, si legano al vino, e che sono uno dei fil rouge di “Sicilia en Primeur”, a Siracusa (da oggi al 10 maggio), così che “la valorizzazione del vino passa anche attraverso la valorizzazione del territorio, e, contemporaneamente - spiega Alessio Planeta, presidente Assovini Sicilia - il vino diventa una delle chiavi di lettura più importanti della nostra Regione”. Ed è proprio grazie anche all’intreccio con tanta storia e bellezza, oltre che al rinascimento vinicolo vissuto dalla Sicilia nelle ultime decadi, che il vino è diventato uno dei pilastri del rilancio economico (con un giro d’affari di 550 milioni di euro) e d’immagine dell’Isola. Basta pensare, per citare “soltanto” i patrimoni Unesco, alle Città tardo barocche della Val di Noto, che puntellano uno dei distretti vinicoli più importanti dell’Isola, così come è Sito Monte Etna, territorio che è stato la stella recente del vino siciliano. O, ancora, le Isole Eolie, con le loro mille espressioni vinicole legate soprattutto alla Malvasia delle Lipari, passando per il Parco Archeologico e paesaggistico della Valle dei tempi di Agrigento, il sito archeologico più grande del mondo, con i suoi 1.300 ettari, dove i resti dei templi dorici vegliano anche sui vigneti, e con diversi progetti enoici che contribuiscono a mantenere in vita parco stesso.
D’altronde, in un’Isola dove la viticoltura è millenaria, e che è il primo vigneto d’Italia, con poco meno di 100.000 ettari vitati sui 660.000 di tutto il Paese, le vigne disegnano il paesaggio di tutto il territorio, che custodisce unicità, sempre per rimanere in tema Unesco, come la Paleremo Arabo-Normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale, La villa del Casale di Piazza Armerina, o Siracusa e la necropoli rupestre di Pantalica. Per non pensare a chissà quanti brindisi hanno chiuso gli spettacoli, nei secoli, de “L’Opera dei Pupi”, altro patrimonio immateriale Unesco della Sicilia, senza dimenticare, ovviamente quelli transazionali ma inestricabilmenti legati all’isola, dalla “Dieta Mediterranea”, con tanti prodotti simbolo, dall’olio al vino, ma non solo, che caratterizzano quello che nel passato è stato “il granaio del Mediterraneo”, o i muretti a secco che in tanti casi sorreggono e proteggono i vigneti. Una ricchezza culturale ed artistica, illustrata dalla professoressa Rita Cedrini, dell’Università di Palermo, che si riflette anche in una varietà vinicola fatta di 23 Doc e 1 Docg, massime espressioni della qualità del vino siciliano. Il cui ultimo frutto, quello della vendemmia 2018, è protagonista nei calici di “Sicilia en Primeur”. Una vendemmia “che in Sicilia è stata a macchia di leopardo, comunque buona, nonostante qualche pioggia nel periodo vendemmiale che però ha interessato solo qualche vigneto, e con punte di assoluta eccellenza sull’Etna e nei territori sudorientali”, ha commentato a WineNews Alessio Planeta, guida di Assovini.

Con la Sicilia che pare essere, letteralmente, “isola felice”. Perchè, se da qualche anno, le temperature aumentano in tutto il globo e gli eventi metereologici si estremizzano, ma l’isola siciliana sembra essere un eccezione: situata al centro del mediterraneo, gode infatti sia delle correnti calde africane, che dei flussi freschi balcanici che tendono a lenire i risultati del cambiamento climatico. Nella pratica, in riferimento al 2018, in un’annata che si potrebbe sintetizzare come “la forza dell’equilibrio”, questo ha portato a due macro-risultati piuttosto uniformemente diffusi sul territorio, come spiegato dall’enologo Mattia Filippi: piogge abbondanti ma ben distribuite lungo le fasi fenologiche importanti della vite (soprattutto concentrate a vendemmia effettuata) e temperature in aumento senza picchi estremi. Questo ha dato origine ad un’annata generalmente equilibrata, in riferimento alle caratteristiche organolettiche dell’uva (ovviamente tenendo ben presente le differenze territoriali che caratterizzano un’isola vasta come la Sicilia), ma anche in relazione alla produzione, in linea con quelle degli ultimi 5 anni: 5,6 milioni di ettolitri, con una resa per ettaro fra le più basse - 8,2 tonnellate per ettaro - se si considerano le 6 regioni più produttive d’Italia.

Dato il quadro di riferimento, ad un’analisi più dettagliata, risultano evidenti le differenze fra le tre macrozone del “continente” siciliano: nella zona nord occidentale si è verificato un germogliamento anticipato di oltre 10 giorni, che, insieme ad un’estate fresca, ha allungando i tempi di maturazione dell’uva, donando grappoli di Grillo e Zibibbo aromaticamente complessi e di ottima acidità. La zona sud orientale (e similmente al territorio nord orientale della Doc Mamertino) è stata, invece, quella meno piovosa e meno calda: il clima mite e tendenzialmente fresco ha contribuito a formare uve di Nero d’Avola, Frappato e Cerasuolo perfettamente sane e fenologicamente mature. Infine l’Etna: all’interno dell’alta variabilità montana fra versanti e contrade, una primavera ed un’estate praticamente asciutte, hanno aiutato a maturare gli acini senza malattie. L’arrivo delle forti ed abbondanti piogge a partire da fine settembre hanno graziato la vendemmia del Carricante, ma hanno costretto ad una raccolta frazionata e difficoltosa per quanto riguarda le uve a bacca rossa. Risultato? Nerello Mascalese e Cappuccio maggiormente aromatici e acidi, ma meno alcolici. Che, ora, aspettano solo la prova del calice.

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