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L’INIZIATIVA

L’Amarone della Valpolicella e la sua longevità, raccontata dall’archivio (ora aperto) di Tedeschi

Un patrimonio di 27.000 bottiglie di vecchie annate degli ultimi 50 anni, aperto al pubblico di collezionisti, alta ristorazione e appassionati

L’Amarone della Valpolicella è riconosciuto tra i rossi più importanti e famosi d’Italia. Alle spalle una storia più breve di quelle del Barolo e del Brunello di Montalcino, ma di grande notorietà. Una notorietà cresciuta a partire dagli Anni Novanta del Novecento, in parte grazie al profilo conferito dall’appassimento, quando ha incontrato il gusto anche di coloro che non si accostavano facilmente ad altri vini rossi più “austeri”. La produzione è cresciuta, le esportazioni pure, ma pare che il grande rosso veronese non abbia ancora conquistato la fama che merita quale vino di lunga vita. Diverse le ragioni, a partire dai differenti stili e da un’offerta piuttosto ampia in varie fasce di prezzo a cui, fatta la tara del valore del brand, di frequente corrisponde una qualità più o meno eccelsa. E forse proprio per l’offerta così variegata l’Amarone è uno di quei vini per i quali il brand pesa parecchio. E anche quando questo peso c’è, le aziende devono impegnarsi a lavorare per far conoscere e apprezzare le sue capacità di affinamento, che riservano grandi sorprese, a patto che abbiano una storicità e delle bottiglie ben conservate in cantina. È il caso di Tedeschi, l’azienda di Pedemonte (Verona), che ha deciso di aprire il suo archivio storico e di valorizzare “un patrimonio che è culturale, oltre che economico”, come ha sottolineato Sabrina Tedeschi che, con la sorella Antonietta e il fratello Riccardo, la governa, sempre sotto l’occhio attento del papà Lorenzo, che da qualche anno “sta a guardare” con l’esperienza dei suoi 91 anni e di tantissime vendemmie.
L’archivio custodisce cinquant’anni di storia dell’Amarone della Valpolicella e quindi anche della sua “evoluzione”, come ha dimostrato la degustazione - alla quale ha partecipato WineNews - con cui la famiglia Tedeschi ha inaugurato l’”archivio storico”: 15 etichette dall’annata 2017 a ritroso, decade per decade, fino al 1974. Una carrellata che ha messo in luce una longevità sorprendente che smentisce l’opinione di alcuni che oltreoceano attribuiscono all’Amarone soltanto dieci anni di vita.
“La longevità è frutto anche dello stile “classico” che da sempre abbiamo adottato per i nostri Amarone - ha spiegato Riccardo Tedeschi, enologo che si occupa del vigneto e della cantina - con acidità elevate e basso residuo zuccherino, sperimentando diverse tecniche di appassimento per limitare al massimo l’impatto del metodo sul profilo del vino. E abbiamo avuto ragione ad essere fedeli al nostro stile, visto che la denominazione ha imboccato questa strada”. La prova del bicchiere ha evidenziato che passando gli anni questi Amarone risultano sempre più fini ed eleganti. Una evidenza che bisogna comunicare. “Con le annate in archivio - ha detto Sabrina Tedeschi -vogliamo arrivare alla ristorazione, in primis a quella italiana, in cui mancano le vecchie annate: l’offerta di verticali è una rarità. All’estero c’è una sensibilità maggiore. In particolare in Giappone e Germania e perfino a Città del Messico cercano vecchie annate e qualche importatore ci chiede vendite en primeur”. Ma “qualcosa si muove anche in Italia, nella ristorazione milanese - ha aggiunto Antonietta Tedeschi -e l’archivio, aperto a percorsi di degustazione, nasce dalla volontà di creare un luogo che proponga un punto di vista diverso sul nostro Amarone”. L’archivio conta 27.000 bottiglie di vecchie annate, di cui 6.800 ospitate in una sala in cui le leggere strutture in metallo su cui riposano in fila - divise per annata ed etichette dei diversi cru - sono illuminate ad arte a creare una atmosfera raccolta, adatta alla degustazione delle annate degli anni 2000, disponibili anche per la vendita. Un giacimento organolettico ora aperto al pubblico dei collezionisti, degli operatori dell’alta ristorazione e degli appassionati.

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