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“L’atto del cucinare, come forma di accudimento, è un archetipo che lega le nonne di ogni Paese”

Il fotografo Gabriele Galimberti, che con il libro “In Her Kitchen” ha vinto il prestigioso “James Beard Fondation Award”, parla di cibo e immagini 

Essere nato e cresciuto in un piccolo paesino della Val di Chiana, in Toscana, ha contribuito sicuramente al suo imprinting legato al piacere di mangiare: il fotografo Gabriele Galimberti, classe 1977, oggi vive a Milano ma è spesso in viaggio in giro per il mondo (è appena tornato dal Kazakistan). Ha collaborato con testate prestigiose come National Geographic, La Repubblica, Marie Claire e Le Monde, pubblicato diversi libri, vinto premi importanti (come il “World Press Photo 2021” con “Ameriguns”) e proprio al cibo ha dedicato un importante progetto fotografico, “In Her Kitchen”, che vede protagoniste nonne di ben 60 Paesi ritratte nelle loro cucine con una serie di ingredienti, accostate alla foto del piatto finito e alla trascrizione della ricetta, raccolta da Gabriele direttamente dalla voce delle donne ritratte. Diventato un libro, “In Her Kitchen” si è aggiudicato, nel 2015, il prestigioso “James Beard Fondation Award” per la categoria “Best Food Photography”, ed è stato tradotto in 12 lingue. “Quello che ho imparato realizzando questo libro è che l’atto del cucinare, come forma di accudimento, è un archetipo che lega le nonne di ogni Paese. Il cibo è un linguaggio d’amore universale”, spiega Galimberti a WineNews.
“L’idea del progetto è nata - racconta il fotografo - quando, diversi anni fa, sono partito dalla Toscana per un lungo viaggio di couchsurfing in giro per il mondo: mia nonna Marisa, con cui sono cresciuto e che mi ha sempre preparato i miei piatti preferiti, mi chiese preoccupata chi avrebbe cucinato per me quando sarei stato fuori”. Lui per rassicurarla le disse che avrebbe chiesto alle nonne di tutti i Paesi di preparargli da mangiare. E così ha fatto, ma, essendo un fotografo, ha anche immortalato le protagoniste di questi pasti casalinghi, con ritratti intimi nelle loro cucine. Per fare breccia nei loro cuori spiegava alle signore incontrate in Kenya, Thailandia o Bolivia che era stata sua nonna, in un certo senso, ad averlo mandato da loro, scatenando così una sorta di “solidarietà” tra nonne, un sentimento incontrollabile di amore, facendo anche leva sul loro orgoglio per le proprie abilità in cucina. Così “In Her Kitchen” è una raccolta evocativa ed affettuosa, con “tante donne molto diverse tra loro, ma legate da una sorta di archetipo universale della figura di “nonna che nutre e accudisce”, che si prende cura dei propri nipoti (e più in generale delle persone) e comunica il proprio amore attraverso il cibo, in qualunque angolo del mondo ci si sieda per cena - spiega Gabriele, che non perde nemmeno la speranza sulle nonne di domani, perché, dice - tra le amiche della mia generazione noto che tutte cucinano per i loro figli. Magari chi vive in città ha meno tempo e mangia più rapidamente, ma non rinuncia a preparare il cibo con le proprie mani”.
Nel libro di Gabriele Galimberti è ritratta naturalmente sua nonna, con i classici ravioli toscani di ricotta e spinaci, affiancata ad una galleria di volti, ingredienti e sapori di tutte le latitudini: dall’abitante di un villaggio dello Zambia e il suo pollo arrosto speziato alle empanadas dell’Argentina, dal maiale fritto con verdure della Cina alla ratatouille cotta lentamente della Francia, passando per la zuppa di squalo delle Filippine, l’alce in Alaska, il bisonte in Canada e i bruchi in Malawi.
Ma per uno come lui, viaggiatore instancabile, cosa rappresenta il cibo? “Adoro mangiare e cucinare, e soprattutto mi piace sperimentare. Quando viaggio il cibo rappresenta uno degli aspetti più importanti ed interessanti della cultura di ciascun Paese, anche perché la cucina include i prodotti della terra di quello specifico luogo, dalle verdure agli animale. Mi piace assaggiare di tutto, anche in maniera avventurosa, e non disdegno piatti particolari. Ho provato di tutto, dall’iguana agli insetti”.
Riguardo all’overdose di immagini legate al cibo che contraddistingue la nostra epoca, per Gabriele Galimberti “negli ultimi 20 anni siamo diventati tutti fotografi. Possiamo ormai contare su telefoni con qualità fotografica altissima, nulla da invidiare alle macchine professionali, e questo fa sì che immortaliamo qualsiasi cosa, dallo sport ai viaggi. La fotografia è diventata un linguaggio accessibile che occupa mille spazi di racconto: in particolare, per il cibo, c’è un’enorme produzione di immagini che in passato non c’era, scattiamo foto dal momento della colazione la mattina alla cena al ristorante la sera. C’è naturalmente anche un aspetto di esibizionismo, vogliamo comunicare quanto ci siamo trattando bene mangiando quel bel piatto”.
Dal canto suo, nel tempo libero Gabriele Galimberti si dimentica quasi del suo mestiere: “per me la fotografia è un lavoro, se viaggio per piacere non mi interessa fotografare quello che mangio. Preferisco godermi i momenti e le esperienze. Anzi, a volte torno dalle vacanze e mi accordo di non avere nessuna foto sul mio cellulare”.

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