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VINO ITALIANO

Le cantine migliori per redditività sono private, con alta capitalizzazione tra vigne ed immobili

“VinoVip Cortina” 2022 by “Civiltà del Bere”: l’analisi economica di Luca Castagnetti (Studio Impresa). Con il “borsino” dei vitigni di Vivai Rauscedo

Le cantine italiane sono consapevoli di dover investire di più soprattutto in vigna, per far fronte al cambiamento climatico, nelle risorse umane, fondamentali per far girare l’impresa, ed in digitalizzazione, per tenere il passo del mondo che cambia. Ma quando si parla di aziende del vino, si parla di realtà diversissime tra loro, per dimensioni, modello imprenditoriale, territorio e per tante altre variabile. Ed a ben vedere, guardando al fondamentale parametro della redditività, emerge che sono quelle private e più patrimonializzate in termini di vigneti e immobili, ad essere migliori da questo punto di vista. Emerge da “Vino Vip Cortina 2022”, evento biennale di analisi e riflessione sul mondo del vino organizzato dalla storica rivista Civiltà del Bere, dall’analisi dei bilanci depositati di 373 aziende, 187 private e 186 cooperative, firmata da Luca Castagnetti (Studio Impresa), che ha scandagliato i numeri delle cantine italiane con giro d’affari superiore a 3 milioni di euro, con dati omogenei dal 2018 al 2021.
“Abbiamo fissato la linea mediana della capitalizzazione da un dato del 29,9%, categorizzando come “light” le aziende al di sotto di questo parametro, e in “strong” quelle al di sopra” - spiega Castagnetti - ed è emerso che 190 aziende del campione sono quelle “light”, e 183 quelle “strong”, e questo influenza i risultati”. Nel complesso, il panel ha visto crescite di oltre il 10% nel fatturato tanto nel 2020 che sul 2021, con un ebitda medio che è arrivato al 12,17% per i privati, che si è mantenuto stabile intorno al 5% per le cooperative, con una media del settore all’8,7%. “Numeri invidiabili per tanti altri comparti del made in Italy”, ha sottolineato Castagnetti. Ma scorporando i dati, emerge che le aziende private e più capitalizzate, ovvero “strong”, sono nettamente quelle con l’ebitda, ovvero la redditività più alta, con il 15,7% in media, ed una crescita del +27% sul 2020, e del +19% sul 2019. Un segnale chiaro, che diventa ancora più evidente se si guarda al ristretto campione delle “50 top performer”, spiega Castagnetti. “Qui si arriva ad una redditività massima del 59%, con una media del 31,8%, in un campione che è fatto al 74% da aziende private “Strong”. Ed emergono differenze territoriali, perchè se il 26% di queste aziende è in Toscana ed il 20% è in Veneto, per esempio, i ricavi per addetto in Veneto sono di 861.000 euro, in Toscana di 259.000. E questo vuol dire che ci sono modelli di impresa profondamente diversi tra loro, ma ugualmente di successo”.
E poi, c’è il caso Bolgheri: “qui di fatto - spiega Castagnetti - ci sono solo aziende private e capitalizzate, con una redditività tra il 39% ed il 40%, che è un dato territoriale elevatissimo”.
Dall’analisi, però, è emersa anche la necessità di una maggiore preparazione delle imprese (il 55% si è detto colto di sorpresa dall’aumento dei costi delle materie prime, per esempio), e la necessità di investire soprattutto in vigna per contrastare il cambiamento climatico, ed in risorse umane, per far crescere aziende che richiedono sempre più competenze, come testimoniato anche dagli interventi di Andrea Stolfa, ceo Della Toffola Group, che riunisce tante aziende italiane di tecnologia che va dalla vigna alla bottiglia, per un fatturato di 210 milioni di euro, per l’80% all’export, e di Roberto Bianchi, direttore Foragri, Fondo per l’agricoltura e l’agroalimentare focalizzato sulla formazione alle imprese, sul palco, tra gli altri, con Gianni Bruno, alla guida di Vinitaly, l’evento degli eventi del vino italiano. E con Eugenio Sartori, alla guida dei Vivai Cooperativi Rauscedo, che ha fatto il focus sul “borsino” e sui trend di quello che accade nel vigneto Italia, visto dal fronte del vivaismo italiano, che ogni anno produce tra i 130 ed i 140 milioni di barbatella, di cui 80 milioni arrivano proprio dai Vivai Cooperativi Rauscedo. “A determinare le scelte delle imprese ci sono fattori come il mercato, ovviamente, ma anche le scelte delle denominazioni ed il clima. Così, per esempio, se nel 2016/2017 al top c’erano Glera, ovvero Prosecco, e Pinot Grigio, su tutti, oggi i più richiesti, nell’ordine, ci sono Primitivo, Sangiovese, Glera, Pinot Grigio, Merlot, Chardonnay, Barbera, Vermentino, Trebbiano Toscano e Montepulciano”. Una top 10 che vale il 54% del mercato delle barbatelle italiane. Ma emergono anche altri trend, spiega Sartori: “i produttori cercano varietà e cloni più produttivi, più capaci di resistere alle malattie e ai cambiamenti climatici, e dai profili aromatici ampi. Ma si lavora anche sulle varietà resistenti, coltivate oggi in 1.200 ettari in Italia, contro il 5.000 in Francia, perchè la burocrazia frena. In Francia c’è un progetto nazionale per avere varietà resistenti in ogni distretto. In Italia le autorizzazioni arrivano Regione per Regione, ed alcune sono ancora completamente ferme”.

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