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Libero

Il vino che guarisce ... Barolo contro l’anemia, Chianti antifebbre, il nettare degli dei cura anche le malattie... Dilemma dell’antichità mai risolto. Se è vero che fu Noé a piantare la prima vigna, chi gli aveva fornito la prima vite? Enigma. Di cui si occuparono anche illustri cervelli. Da Leonardo a Paracelso, da Bacone ad Erasmo da Rotterdam, da Nostradamus a San Tommaso d’Aquino. Tutti accomunati da un particolare hobby o interesse. L’Enologia. Il che sta a indicare come, da centinaia di anni, questa materia abbia saputo coinvolgere non solo gli addetti ai lavori (vinificatori e distillatori), ma anche santi, beati, artisti, pensatori e profeti. Perché questa passione da parte di tanti grandi ingegni, che pure erano in tutt’altri affari indaffarati? Imponderabili i motivi. E tuttavia si possono tirar fuori alcune ipotesi. Fra le tante (al di là delle esigenze del palato) quella secondo cui il Vino e i suoi derivati erano considerati, all’epoca, un po’ alla stregua di un medicinale. E poiché in illo tempore le farmacie (o gli alchimisti) non potevano fregiarsi delle circa diecimila specialità che trionfano oggi, è comprensibile come da quel che veniva chiamato nettare degli dei si volesse ricavare qualcosa di più .

Senza scomodare altri studiosi del passato remoto (da Plinio il Vecchio a Galeno fino a Ippocrate, che pure erano assidui devoti di Bacco) furon molti i sostenitori del potere terapeutico dell’alcol. Ad esempio, nel XIV secolo il Cardinale Vitalis de Fumo, Vescovo di Albano, affermava che lo spirito de lo vino è una vera panacea. Esagerazione? Mah. Altri lo definirono aqua de oro, cielo dei filosofi, elisir di vita pro conservanda sanitate e pro conservanda juventute. Capito? E poi il fisico padovano Michele Savonarola (1384-1468), nonno di Girolamo, prescriveva ai pazienti, per taluni malanni, vino e miele con essenze di rose, donde rosolio. Anche i Frati Camaldolesi ordinavano una sorta di acquavite (calda) contro la malaria e il raffreddore. Prescrizione confermata pure dal botanico Pierandrea Mattioli (1500-1577) nel suo Pedanii Discoridis de materia medica, libri sex. Senza dire di Alessandro Tadino, che nel suo Ragguaglio della peste di Milano (1684) - da cui poi Manzoni trasse documentazione per lo storico capitolo de I Promessi Sposi - ricorda come nei lazzaretti venisse adottata la dieta spiritosa. Oggi, ovviamente, di questo prezioso liquido non si occupano più santi, filosofi, astrologi e sacerdoti. È la scienza che, sia pure cautamente, ne riconosce i pregi. Importante è un’indagine epidemiologica del prof. Renaud dell’Istituto Superiore Ricerche di Parigi, che ha potuto accertare l’azione protettiva del vino rosso sull’apparato cardiovascolare. Recente è altresì un protocollo del dottor David Kritchevsky del Winstar Institute di Filadelfia, “Un bicchiere di questa bevanda - vi si legge tra l’altro - può contribuire alla riduzione del colesterolo e il corrispondente aumento delle alfa-proteine, di cui si esalta il potere antiarteriosclerotico”. Opinione analoga, quella del più famoso dietologo del mondo, Ancel Keys dell’Università del Minnesota. Avendo svolto esperimenti in collaborazione col grande cardiologo Paul Dudley, già archiatra del Presidente Eisenhower, è giunto a una più inequivocabile conclusione. E cioè che il succo della vite è dotato di una considerevole capacità antibatterica e antivirale. Naturalmente non poteva mancare il risveglio scientifico del nostro Paese, primo produttore al mondo di vino. (Se n’è discusso anche a Verona in occasione del Vinitaly ).Va sottolineato per che spesso c’è la tendenza a segnalare solo il lato negativo (innegabile) di questo prodotto e, quando si passa dall’uso all’abuso, i suoi effetti collaterali non proprio esaltanti. Specie in ordine a quella che, con migliaia di vittime all’anno, viene indicata come strage silenziosa. Sta di fatto che, assieme alla droga, sono gravi le conseguenze dovute all’etilismo. Intanto, di cirrosi epatica si può morire. Eppoi sappiamo dei problemi legati alla sicurezza stradale. Migliaia gli incidenti provocati da automobilisti che superano il tasso alcolico consentito.
Tutto questo (italica contraddizione) anche se diminuisce, in maniera inversamente proporzionale, il consumo del vino. In circa 50 anni c’è stata una flessione inarrestabile. Anche a causa di un’inversione di gusti. Dai 103 litri del 1955 si è passati ai 93 del 1980, per scendere ai 70 del 1988, e poi toccare una quota di 61 litri pro capite nel 1990, sino ad arrivare ai 45 litri del 2000 e mantenersi intorno ai 42 negli ultimi anni. Fortuna che trionfa l’esportazione. Specie verso Stati Uniti, Russia, Germania e Francia, che assorbono il 25% delle disponibilità. Numeri eloquenti, che spingono a chiedersi se in Italia il ridotto assorbimento enologico del 50% sia un bene o no. Ma attenzione! Son due discorsi paralleli che non s’intrecciano. L’economia è una cosa, la scienza è un’altra. E la scienza consiglia: bere, sì, ma non esagerare. Verdetto confermato in un convegno svoltosi mesi fa a San Francisco (Usa). Autorevoli studiosi sono concordi nel sostenere come il vino, in quantità controllate, abbia un positivo impatto sull’organismo umano. E questo anzitutto per la presenza di glicerina e tannino (che blocca fenomeni tossici), oltre all’acido succinico, che stimola la respirazione muscolare. Ma le sostanze del vino non finiscono qui. Ve ne sono 250! Notevole la quantità di carboidrati, fosfati, solfati, proteine, vitamine, e vari enzimi che, in alcuni casi, possono sostituirsi agli ingredienti dei farmaci. Anche perché il vino per meglio conservarsi non ha bisogno - salvo eccezioni - di additivi o altri composti estranei. Quando lo si assorbe moderatamente non si fa altro che assumere un po’ della natura più schietta. Specie se si tratta di tipi desunti da particolari vitigni e di una accorta stagionatura.

Qualche esempio? È stato accertato come Barolo, Barbaresco, Ghemme, Freisa e altre tipologie del Piemonte siano efficaci contro l’anemia e gli stati d’ipertensione arteriosa. Invece i bruni dell’Oltrepo Pavese, per la loro equilibrata alcolicità, sono benefici in forme di colite e in stati depressivi. I rosati e i chiaretti del Garda aiutano la peristalsi intestinale, combattendo stipsi e difficoltà digestive. Il Bardolino può intervenire nelle bronchiti e bronco-polmoniti. Grazie allo scarso contenuto di sali, si distinguono poi i bianchi dei Colli Euganei, di San Severo, di Valdobbiadene, nonché Conegliano Veneto, Portogruaro e San Donà del Piave. Tutti ottimi per contrastare i calcoli renali e biliari, e l’eccesso di colesterolo nel sangue. Infine, il Chianti è consigliato nelle malattie febbrili acute; l’Etnarosso siciliano el’Eloro di Piano di Noto sono indicati negli stati di dimagrimento; l’Orvieto si rivela eccellente nelle astenie, e così pure il Frascati, il Garignano del Sulcis, il Cannonau di Ogliastra e il Cir classico. L’elenco potrebbe continuare. Anche perché i vini italiani di qualità sono oltre mille e molti posseggono doti organolettiche superiori. In sostanza, nel vino (700 calorie al litro fino a 12/13 gradi) si può identificare il concetto di alimento-medicinale, forse come per nessun altro frutto della terra. Durante il pasto è un sorso di salute. E’ chiaro che non bisogna slittare dall’uso all’abuso. (Un uomo di 70 chili può assorbire, in due fasi, fino a mezzo litro di vino al giorno). Gli eccessi annullano le ricche proprietà di queste bevande e, come accennato, arrecano conseguenze anche gravi. Se bere è umano - dicono i filosofi - ubriacarsi è diabolico. Si può negare questo assunto?

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