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Libero

Il Trento Doc, un motorino e la magia dell’Aida ... Il parere del sommelier... Per i miei 16 anni chiesi a mio padre se potevo finalmente avere il motorino. E lui da ex motociclista, tergiversava. Ma alla fine il motorino arrivò. Era un meraviglioso “Si” della Piaggio, bordeaux metallizzato. Sul sellino un biglietto aereo per Verona e un posto in fila per L’Aida. Tutto in data 16 agosto. Ma come? Il mare, gli amici il mio filarino sul quale avevo sognato tutto l’inverno e lui voleva portarmi all’Arena di Verona? Avevo un nodo alla gola, ma sapevo che non ci sarebbero state scuse: io avevo avuto il motorino e lui avrebbe avuto la mia attenzione su quello che lo emozionava di più nella vita, insieme ad un grande calice di vino. Non dimenticherò mai quel momento. Il tramonto sull’arena e l’orchestra che si accordava con il “la” del primo violino, e poi quei 4 atti che mi sembravano la cosa più noiosa che a 16 anni avrei dovuto affrontare. Invece era stata magia pura. Ora capivo la parola “immortale”. Mentre andavamo verso il ristorante, mi sentivo già più grande. E lì per la prima volta degustai il Trento Doc. Era una Riserva del Fondatore Giulio Ferrari. Capii che l’unico calice che mi fu permesso di bere era grande, fresco, elegante e che anche l’amore per la propria terra poteva rendere uno spumante leggendario. Aida, Radamès, Amneris erano un triangolo amoroso che aveva consacrato un vino unico, che canta di uve che diventano bollicine al bicchiere. Che inebria con la sua frutta esotica, pompelmo, mughetto, spezie. Con il suo spessore, la sua rotondità e il suo garbo. Da allora la curiosità mi ha portato a conoscere questo meraviglioso territorio con i suoi calici che parlano di Chardonnay e Pinot Nero. Trento Doc per me sei i versi dell’Aida: “Celeste Aida forma divina, mistico serto di luce fio. Del mio pensiero tu sei regina, tu di mia vita sei lo splendor”.

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