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Libero

“Qui la vigna è impresa” ... Parla Vittorio Moretti. La ricetta del papà di Bellavista: qualità, export e sistema territoriale... Vittorio Moretti sta rientrando da un viaggio in Russia. Lo raggiungo per telefono a San Pietroburgo. Fa caldo? Azzardo a mo’di celia. “Fa troppo caldo. Sono bloccato qui, il volo per Mosca non parte, non so come e quando rientreremo in Italia”. Chi lo conosce poco non sa che il fondatore di Bellavista, la cantina leader della Franciacorta che è diventata un modello anche per altri imprenditori - penso ai fratelli Muratori che hanno costruito il loro “arcipelago” comprando vigna in diverse parti d’Italia - dopo essersi consolidata lungo le rive del lago d’Iseo e avere esplorato con successo crescente la Maremma Toscana con Petra e con la Badiola, è uomo concreto, schietto, ma animato da un amore vero per l’agricoltura. Nato costruttore ha seguito la passione nel fare il suo business: prima ha impiantato vigna in Franciacorta trovando impulso di sentimento nel suo amico fraterno Gianni Brera - uno che dava del tu all’anima del vino - e sostegno tecnico in Mattia Vezzola, grande artefice dei vini Bellavista, poi ha aperto un cantiere di barche a vela, il Maxi-Dolphin, poi ha avuto l’intuito di aggregare vino, vela e benessere con i suoi relais l’Albereta che è un must della Franciacorta e l’Andana che è un luogo magico della Maremma. E chi ragiona ma si fa muovere dai sentimenti non può non fare una battuta come quella che mi regala Moretti:
“Mi sa che la terra sta impazzendo e noi non facciamo niente per farla rinsavire”.
Tradotto: sto pensando alle mie vigne e sono preoccupato perché l’agricoltura non ha il peso politico che merita. “Intendiamoci”, avverte, “per noi va bene. Lo spumante si vende benissimo. Quest’anno avremo una vendemmia eccezionale. Le grandinate ci hanno ridotto le quantità, ma la pioggia e il fresco ci aiutano ad avere acidità. Prevedo un 2010 ottimo per la Franciacorta”.
Ma non è che gli altri anni vi sia andata poi tanto male...
“Sì siamo cresciuti. Ma guarda che io a modello ho avuto per un po’di tempo la Francia, poi ho pensato di fare di testa mia. Investire in vigna significa avere tempi lunghi e progetti lungimiranti”.
Dunque lo Champagne non è un modello?
“È un obiettivo. Dobbiamo riuscire a fare vini migliori di loro, ma se vuoi un modello io ti dico la Franciacorta. Qui siamo riusciti a fare sistema. Le leadership sono riconosciute e semmai i vignaioli si stimolano a vicenda a migliorare. Anche sulle quantità siamo stati oculati. E siamo riusciti a tenere i prezzi. Anche con la crisi il sistema Franciacorta è stato coeso”.
Adire il vero gli spumanti sembrano gli unici vini che si vendono ancora...
“In parte è vero, ma si può e si deve fare meglio. Bisogna tenere il prezzo e non farsi spaventare. E poi bisogna esplorare altri mercati. La mia ricetta è: qualità, export e sistema territoriale coeso. La Franciacorta nel suo complesso non è lontana da questo modello“.
Per vendere meglio all’estero cosa serve?
“Visto che il sistema paese non ci aiuta, anzi, visto che l’agricoltura è ormai una Cenerentola dobbiamo imparare a fare da soli. Ci serve portare all’estero la grande cucina italiana, ci serve vendere le bottiglie top alla metà dei Grand Crus di Champagne e ci serve di batterli in qualità. Poi dobbiamo imparare a organizzare la distribuzione e l’export”.
E il mercato italiano?
“Tiene, anzi un po’per noi almeno migliora, anche con i rossi va meglio. Ma qui abbiamo due limiti: gli eccessivi ricarichi dei ristoratori, la contrazione dei consumi alla quale non opponiamo un nuovo stile di approccio al vino. Su questi fronti bisogna lavorare”.
Il fatto che in Franciacorta molte cantine siano di proprietà di imprenditori che lavorano in altri settori ha aiutato? “Sicuramente sì. Senza tradire in nulla le prassi agricole qui c’è una maggiore imprenditorialità. C’è più concetto d’impresa, più programmazione, forse anche di marketing. Ma soprattutto in Franciacorta lavoriamo come se fossimo un distretto. Penso al rafforzamento del brand, penso al ruolo che svolge il Consorzio, penso alla tecnologia che abbiamo applicato. Sì qui da noi la vigna è impresa vera”.
E il futuro di Bellavista?
“A Erbusco come in Toscana il futuro è qualità, investimenti di lungo termine e soprattutto passione. Fare vino richiede di essere imprenditori, ma con una qualità in più: l’amore per la terra e l’affetto per gli uomini che bevono il tuo vino. Che devi produrre al massimo e vendere al meglio. Magari pensando che questo caldo della Russia non è un incendio, ma la febbre del pianeta. E senza terra noi non abbiamo futuro”.

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