02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Libero

In vino veritas. O forse no? ... Crisi & Vendemmia... E sia! Torniamo al Carducci: “dal ribollir de’tini, va l’aspro odor dei vini, l’anime a rallegrar”. Perché ormai chi glielo spiega a chi lo compra che il vino è un prodotto e non un’arcadia, un mondo tutto lustrini, ricchi premi e cotillon? Se i vignaioli non sanno più a che santo votarsi, suggerisco San Martino. Quello che spartì il mantello con il mendicante. Mal comune mezzo gaudio: no? A fronte di eclatanti, quanto fallaci e inutili, proclami di una vendemmia da record, che non è ancora cominciata e anzi sarà ritardata, giustamente qualcuno s’è chiesto: ma ci conviene iperprodurre? Le cantine scoppiano d’invenduto, le quotazioni di vini prestigiosi allo sfuso sono ridicole: due euro e mezzo per il Barolo, idem per il Brunello, un euro e cinquanta per Barbaresco e Chianti al litro. Ma noi ci esaltiamo: sorpasseremo la Francia in quantità.
E poi - visto che tra etilometri, dissuasioni occulte, ricarichi da capogiro al ristorante il consumo interno sta precipitando - a chi lo vendiamo? E a che prezzi? Se questa è la fotografia, ancora più deludenti sono le risposte. C’è chi dice: facciamo come i francesi, facciamo sistema. Per la cronaca: i francesi stanno messi peggio di noi. La verità è che la situazione non si risolverà se non in un contesto generale di ridare centralità, dignità ed economicità all’agricoltura. Per troppi anni i produttori di vino hanno trovato comodo far pensare che il vino non fosse un prodotto agricolo affidandosi allo show biz per vendere le loro bottiglie a prezzi ingiustificati.
Per esempio: perché in Italia le piccole annate si pagano gli stessi prezzi di quelle memorabili? Perché non si fa del credito su pegno (come succede per il Parmigiano Reggiano) per i grandi vini in affinamento? Perché non si separa il conto patrimoniale delle aziende (il presunto valore dei vigneti e dei manufatti, sovente storici) dal conto economico in modo da fare chiarezza su costi e utili di produzione? Altro punto dolente. Per anni i produttori di gran nome hanno snobbato i supermercati. Oggi 7 bottiglie su dieci in Italia si vendono all’iper. C’è un direct marketing sul consumatore? C’è la capacità di dialogare da pari con la grande distribuzione? Il ricarico su una bottiglia di medio prezzo vale, in termini di utile, per un supermercato quanto la vendita di 30 chili di pasta. E in ultimo: la Ocm (organizzazione comune di mercato) assegnerà alle Regioni una montagna di soldi per promuovere il vino. Vogliamo continuare con i mille rivoli o c’è la possibilità di avere in Italia un solo organismo che coordina la promozione? Magari cercando di acquistare anche dei canali distributivi all’estero? È tempo che i Consorzi di tutela facciano il loro vero mestiere: promuovere il vino. Rendendo conto di costi e risultati. Con un contributo di 10 centesimi a fascetta Docg, il Chianti Classico - per esempio - avrebbe a disposizione dai 3 ai 4 milioni di euro. Una massa finanziaria da investire in pubblicità, per parlare con i consumatori,
per spiegare che il vino è un prodotto di valore cessando di dare soldi a questo e quello senza verificare i feedback . E soprattutto smettendo di rinnegare che il vino è un prodotto della terra. Perché questa è la veritas nel vino. O forse no?

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su