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Libero

Solo la qualità totale salverà il vino italiano ... Marco Caprai punta l’indice sugli errori di programmazione. “È tempo che le cantine decidano da sole il loro futuro”... Parla il maggior produttore di Sagrantino... Mi accompagna da anni una battuta di Marco Caprai. A Verona, a Vinitaly chiuso quando si smaltiscono stanchezze, gli uscì come un aforisma: “Sono stufo, sul vino guadagnano e decidono tutti tranne quelli che lo fanno”. Me ne ricordo ora mentre ci incontriamo per l’ennesima volta nella sua bellissima cantina ai piedi di Montefalco: la Arnaldo Caprai, che
porta il nome del papà di Marco, cavaliere del lavoro, il “re del corredo” e principe del cachemire. Da tempo Marco ha suonato l’allarme rosso sul Sagrantino. Inascoltato. Da un ventennio Marco Caprai è il leader indiscusso della qualità, dell’immagine, dell’export di questo frutto raro della meravigliosa terra umbra. Lo chiamano il George Clooney della vite perché ha fascino, ma a lui i
panni del piacione non piacciono affatto. Anzi. Quando è nero corre a perdifiato (s’è fatto un paio di maratone di New York con cronometro lusinghiero) o si sciroppa un centinaio di vasche in piscina. “Mi serve per pensare - mi confida - e per evitare di farmi il sangue amaro. Ci abbiamo messo
vent’anni per fare del Sagrantino un vino importante, riconosciuto e riconoscibile e ora stiamo in una palude”. Sarebbe il caso di affrontare il discorso delle leadership. Lui vuol tenersi lontano dalle polemiche, ma suggerisco: “Marco, non sarà ora che rimettete mano a questo territorio?”. “E lo dici a me? Sono anni che vado predicando che ci sono stati errori di programmazione: si sono fatte piantare troppe vigne, si sono fatti ricchi i pochi che hanno venduto la terra a prezzi insostenibili e si sono strozzati i vignaioli. Ti pare possibile che un territorio moltiplichi per cinque-sei volte la capacità produttiva in otto anni senza che nessuno si sia preoccupato di sapere prima se c’era un
mercato?”. Sta di fatto che però ora con i venti di crisi molti, se non tutti, tornano a guardare alla Arnaldo Caprai come cantina leader del territorio. Del resto qui si è fatta la sperimentazione colturale, qui si sono prodotti alcuni eventi che hanno affermato Montefalco nel mondo (Harvest in Montefalco, la Mangialonga), qui è nata la Strada del Vino, qui sono giunti i primi riconoscimenti
qualitativi d’eccellenza da parte della critica internazionale. È una leadership che sta nei fatti e nelle cose. Ma è una leadership che molti a Montefalco hanno sofferto. “E sai perché?”, sbotta Marco Caprai. “Perché del vino”, spiega, “hanno cominciato a interessarsi tutti meno quelli che lo fanno, è un settore eterodiretto. Così non si può più andare avanti. Ci sono state troppe piccole furbizie, troppe invidie meschine. Montefalco doveva diventare un sistema territoriale e doveva restare coesa”.

Detto questo che cosa occorre fare?

“Ci sono tre priorità. La prima è puntare alla massima qualità possibile e rendere omogeneo il profilo qualitativo dei vini di questo territorio. La seconda è quella di governare il territorio secondo scelte di eccellenza e con programmazioni di lungo periodo, senza né cedere all’emergenza né indulgere nella negligenza. La terza cosa è restituire alle cantine la potestà di decidere il loro destino. E bisogna - ma questo riguarda tutti i produttori italiani - ridare dignità imprenditoriale all’agricoltura. Ma ti pare possibile che noi vendiamo a prezzi cinesi con costi americani? Se non si pone la questione agricola in Italia non c’è futuro”.

Dunque Montefalco è in qualche misura paradigmatico di tutto il sistema vino?

“Sì perché qui la politica ha ridotto i produttori non a interlocutori, ma a semplici esecutori delle sue scelte. Bisogna fare piazza pulita di tutto il sottobosco che ruota attorno al vino, bisogna fare investimenti per rafforzare le reti commerciali, bisogna produrre con qualità e sincerità, bisogna fare più marketing e bisogna smetterla con le continue intermediazioni tra i produttori e il mercato, tra i produttori e i territori, tra i produttori e le scelte di governo”.

Fatto tutto questo c’è una prospettiva di ripresa?

“Fatto tutto questo ci sono le forze, le volontà, le passioni e anche la qualità necessarie a stare bene sul mercato. Ma, ripeto: o l’agricoltura torna centrale nelle scelte di programmazione oppure stiamo discutendo di niente. A Montefalco come in Italia”.

Qui a Montefalco molti spingono perché Caprai torni protagonista anche nel Consorzio. Possibile?

“Intanto ridiamo equilibrio alla produzione e ai prezzi del Sagrantino, ridiamo centralità alla viticoltura nelle scelte di governo del territorio e poi si vedrà. Quanto al Consorzio serve totale
chiarezza sulla gestione passata. Azzerato il pregresso che non è stato felice si può pensare al rilancio. E certo non sarò io a tirarmi indietro. Ma a condizione che ci sia totale chiarezza di scelte e di gestione”.

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