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Libero

Il paradosso del Sagrantino. Un mito che non sa di esserlo ... Eccessi produttivi e incapacità di gestire il successo in una terra d’incanto... Così Montefalco si specchia nel paradosso del Sagrantino... Fanno dieci anni da quando un ponderoso studio della Fondazione Agnelli (coordinato da Sabina Addamiano) decretò questo come il nuovo Eldorado della vitienologia di qualità in Italia. C’era tutto - e c’è ancora - per immaginare che questo che è il Cantico delle Creature fatto materia diventasse uno dei più esclusivi terroir del mondo. Costruito con ataviche fatiche, modernissime intuizioni, sostanziato attorno a una leadership qualitativa, d’immagine, di ricerca scientifica riassunta in una sola cantina. Si era caricata, quell’impresa, sulle spalle il territorio e lo ha portato nel mondo. Fanno dieci anni e il miracolo è svanito: Montefalco si specchia nel paradosso Sagrantino. La Fata Morgana del successo fa da viatico a questo nuovo viaggio che compio in un pezzo d’Italia raro. Per quanto si possa percorrere da Nord a Sud l’Italia è difficile trovare in un fazzoletto di colline così angusto - ché la zona di produzione del Sagrantino non va oltre i cinque comuni di Montefalco, Bevagna, Castel Ritardi, Giano dell’Umbria e Gualdo Catteneo - un concentrato simile di valori. C’è una campagna di straniante bellezza - pur insediata da lottizzazioni
che la devastano alla periferia di Montefalco con nuovi insediamenti di villette a schiera, nel basso della valle con un baratto di terra di proprietà delle pubbliche Opere Pie destinata a vigne e ora appaltata all’Ikea che su venti ettari farà sorgere l’ennesimo non luogo denunciando una reale incapacità di gestione del territorio e ghettizzando ancora una volta l’agricoltura a petto del Dio
cemento - ora che l’aria di cristallo settembrina la racchiude in un manto di luce ieratica, ci sono tesori d’arte, come ad esempio l’ex convento di San Francesco dove trionfa la massima gloria pittorica di Benozzo Gozzoli che pittò nell’abside della duecentesca chiesa il ciclo di vita di San Francesco d’Assisi ritraendo su di una bianca tovaglia la magica ampolla del primo Sagrantino, c’è
un artigianato ancora vivo e vitale e una cornucopia di sapori che vanno da pregevolissimi salumi (come quelli di Tagliavento) a straordinari oli extravergine d’oliva dove il Moraiolo signoreggia (eccellente è quello di Luciana Cerbini prodotto a Casa Gola), c’è la presenza di borghi d’incanto come Bevagna dove il Medioevo è vivo e vero (il Mercato della Gaite che si tiene ogni giugno è
l’unica vera ricostruzione filologica della vita dell’età di mezzo che si faccia in Italia) e dove le eredità romane (basta guardare il mosaico della pescheria) ancora irradiano stupore, c’è una natura che resiste nonostante le offese (e penso al Clitunno, penso all’Aiso, penso ai Monti Martani). C’è infine un paesaggio che dischiude la lirica dei luoghi. Montefalco è la “ringhiera dell’Umbria” e basta affacciarsi da quello che fu lo “Spedale” per traguardare Trevi e Spello e Foligno e Perugia e aprirsi la Culta Valle che è il cuore del cuore d’Italia: l’Umbria. E c’era (o forse c’è ancora) un concentrato d’intelligenze e di desideri d’intraprendere. Dieci anni dopo con Kazuco Ishiguro mi chiedo calandomi nei panni del vecchio maggiordomo Stevens “Cosa resta del giorno?”. Resta l’incapacità a gestire un successo annunciato e dissolto. Il Sagrantino non si vende più come una volta. I prezzi sono crollati di oltre il 70%, la produzione è fuori controllo (si potrebbero fare oggi di quel vino 33 mila ettolitri) passata in otto anni da 120 a 630 ettari vitati, il Consorzio di Tutela va incontro a continue crisi di comando. È la terra del Sagrantino paradigmatica della non politica
viticola in Italia. Qui gli albi sono stati chiusi in ritardo, qui sull’onda del successo del Sagrantino
maturato negli ultimi cinque anni del secolo andato si sono impiantate vigne pagando la terra prezzi insostenibili, qui sono calati alcuni dei grandi vignaioli italiani pensando che l’Eldorado ci fosse davvero. E anche i piccoli che coltivavano solo l’uva si sono messi a imbottigliare in proprio. Infilandosi in una spirale economica che ha il fiato cortissimo. Hanno fatto investimenti importanti e per sostenere i mutui hanno iscritto le vigne a Sagrantino condizione necessaria per ottenere i
mutui dalle banche, ma non sufficiente per stare sul mercato. La prima spia è la disomogeneità qualitativa del Sagrantino. Nasce questo vino di colore impenetrabile che quando è grande è quasi inarrivabile per potenza di polifenoli, per complessità d’olfatto, per immediata riconoscibilità per
pienezza al palato per identità rurale conclamata da un vitigno antichissimo. Quella vite forse ha natali anatolici. Ma è arrivata sulle colline della Culta Valle per volere dei monaci. Era il Sagrantino (lo dice il nome) il vino della Messa e delle mense delle feste comandate. Se ne sono trovate tracce - sotto la chiesa di San Francesco - nelle vasche in ammattonato che i fratelli di Francesco usavano per vinificare a Montefalco e spigolando tra i vicoli di questo borgo di straniante bellezza si vedono
negli orti viti prefillosseriche, sono dei monumenti vegetali di oltre due secoli. Confinato in questa enclave locale il Sagrantino ha vissuto secoli di gloria a Dio e gioia agli uomini soprattutto sottoforma di passito, tanto duro appariva il suo tannino, che bisognava domarlo col sole per apprezzarne il timbro gregoriano. Poi sul finire degli anni ’70 un manipolo di viticoltori ha deciso di provare a farlo fresco. Alla fine negli anni ’80 l’esplosione che si deve alla Arnaldo Caprai. Il Sagrantino ha sfidato i grandi rossi del mondo e spesso ha vinto. In forza del suo vigore, della sua
identità. Ed ecco che accanto agli Antano, agli Adanti, agli Antonelli, ai Tabarrini, ai Caprai si sono fatti strada i primi investitori importanti come la Sai Agricola con Colpetrone. Erano gli anni in cui il Sagrantino veniva pagato qualsiasi cifra incoraggiando antiche cantine ormai dimesse come
Scacciadiavoli (Pambuffetti) a ripigliare la produzione. Poi le cooperative hanno cominciato a pagare le uve a qualsiasi prezzo e contemporaneamente a svendere il prodotto finito. Primi scricchiolii, infine un caos non governato. Oggi il Sagrantino si trova da 50 euro a 5 euro, oggi il Sagrantino si trova ottimo e pessimo. L’euforia di Montefalco non ha prodotto eguale lungimiranza
di governo. E torno a percorrere queste vigne ricordando la Montefalco-Eldorado. Che è un luogo magico così come lo sono le sue quattro sorelle dove davvero si poteva immaginare uno sviluppo
compatibile fondato sul vino e sulla terra. Dove questo boom seguito dallo sgonfiarsi del fenomeno
ha lasciato però qualcosa di buono e di fertilizzante. Sono le iniziative ricettive: a Montefalco c’è un nuovo albergo, in tutte le campagne sono sorti tra i migliori agriturismo d’Italia, si cominciano a
muovere sull’asse Montefalco-Bevagna tour operator intelligenti come il neonato “Eat-Umbria Viaggi perigolosi” (dove il calembour nasconde la possibilità e il desiderio di scoperta di percorsi sensoriali) che unisce esperienza dell’arte, dei luoghi a corsi di cucina che stanno attirando di nuovo
gli americani. È sorta una strada del vino del Sagrantino che è tra le più efficienti d’Italia (e lei conviene affidarsi per solcare queste terre di bello assoluto), si è dato modo ad un maestro dell’arte contemporanea come Luigi Frappi di ricoltivare l’arte dell’affresco su committenza pubblica realizzando un paesaggio onirico nel teatro di San Filippo a Montefalco (mirarlo dopo i freschi di Gozzoli è vivere un paesaggio artefatto, cioè fatto ad arte, come questo). Montefalco s’appresta alla settimana enologica. Chissà risolverà il proprio conflitto o se, com’ io mi rifletto nel cristallo liquido del Clitunno, si specchierà ancora nel suo di-vino paradosso.

Le bottiglie al top

Arnaldo Caprai 25 anni. Il massimo del Sagrantino, la bottiglia che lo ha reso celebre nel mondo. Austero e elegante. Un vino indimenticabile (euro 55).

Arnaldo Caprai Collepiano. Incantevole per le percezioni di frutto rosso, di vena leggermente balsamica. Vino da grande cucina ma anche da panino (euro 27).

Adanti Sagrantino. Una delle cantine storiche di Montefalco. Vino molto caldo, mediterraneo con un palato vellutato. Da cucina di caccia (euro 25).

Antano Colleallodole. A ltra bottiglia tradizionalissima di nerbo evidente nei tannini con olfatto complesso. Molto deciso e imponente (euro 48).

Tabarrini Colle alle Macchie. Offre visciola, mirtillo, intense venature di tabacco verde, al palato è presentissimo ma il tannino è dolce. Superlativo (euro 50).

Scacciadiavoli Sagrantino. Vino in costante progresso qualitativo. Un Sagrantino di buona finezza con lieve vena balsamica e sensazioni dolci (euro 20).

Cecchi Uno di Nove. Sagrantino che sta tra la viola e la vaniglia, di tannino ben levigato e notevole spessore gustolfattivo (euro 28).

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