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Libero

Ma serve più qualità alle viti di montagna ... Da San Leonardo un appello: “Abbiamo una terra
unica al mondo. Il tempo del basso profilo è finito”... Parla il marchese Guerrieri Gonzaga... Lì appena oltre il confine della Serenissima, dove l’Adige fa un’ampia curva e pare un ribollir di cristallo, sotto il ferrigno occhio del castello di Avio che domina la valle quasi fosse emulo di Cariddi che dialoga con Scilla, altro maniero sul versante di Ala, a segnare delle citramontane colonne d’Ercole s’imbocca un viale di tigli che s’inerpica leggero sulla collina. Saranno sì e no un paio di chilometri, ma bastano dimenticare il caos dell’Autobrennero, servono a ricreare subitanea armonia d’ambiente, di sensi, di memorie. È quella la tenuta San Leonardo con la cappella, le case affrescate e una quiete così assoluta che ti sembra di sentire il suono dell’erba che cresce. È questo il buen retiro di un gentiluomo dal profilo di levriero, dal carattere sussurrato ma in realtà deciso: il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga. In questa enclave di grazia rurale si matura uno dei grandi
merlot d’Italia, in questa culla di vigne nasce il San Leonardo che è stato uno dei frutti della tecnica di Giacomo Tachis, dell’ingegno e della passione di questo nobiluomo e che oggi ha in Carlo
Ferrini il continuatore enologico e in una fama planetaria la consacrazione del suo successo, della sua assoluta qualità. Sento il tintinnare dell’imbottigliatrice, si sta etichettando il San Leonardo 2006, ottima annata di questa ricetta bordolese con aria trentina e spessore aristocratico. È vino d’incanto: fine e polposo, robusto e gentile che dischiude sottobosco e mora, che profuma di montagna. Carlo Guerriri Gonzaga è autore di un progetto - lungimirante che lo ha portato a dialogare con la grande (dimensinalmente parlando) ccoperazione trentina e a produrre un vino il Cilla Imperiale in cui mette il know how e la Cavit mette la forza. Lo rispettano e lo temono perché “il marchese” non è tenero nei giudizi, ma anche perché ha l’autorità della qualità. Ha con la Casa del Vino della Vallagarina smosso il marketing sonnacchioso dei vini trentini, ha con l’incontro con la cooperazione cercato di contaminare positivamente. A lui chiedo come va. “Qui in Trentino stiamo soffrendo troppo. Tutti, guardi che non è solo prerogativa della cantine sociali, fanno tanta qualità, ma pochissima qualità ”. Mi mostra una email giunta da un importatore coreano che ama il San Leonardo. Testuale riporta: “Vogliamo il suo vino, lei ci ha chiesto di vendere anche altre trentini Ma qui non li conoscono, non li apprezzano”. E viene da chiedersi se il fiume di denaro speso ogni anno per promuovere questa terra sia stato efficace. “Ci serve - dice il marchese quasi sibilando - una svolta decisa verso la qualità. Abbiamo un terroir unico, abbiamo anche dei vini
d’eccellenza, ma bisogna che la qualità diventi patrimonio comune. Non si può continuare con 220 quintali di resa per ettaro, con i vini venduti in nero, con gli imbottigliatori che comprano a mano franca vino da fuori e lo fanno passare per Trentino praticando dei prezzi ridicoli. Quest’anno pagheranno l’uva 35 centesimi al chilo. Se va si avanti così non c’è speranza”.

È crisi nera dunque?

“È crisi vera e soprattutto crisi d’intelletto. Ma c’è una speranza. Giorni fa la Provincia ci ha convocato per un vertice, qualcosa si sta muovendo. Ho detto che dobbiamo ripartire dalle eccellenze, e badi bene che in Trentino ce ne sono, a cominciare dalla valorizzazione degli studi e delle ricerche di San Michele all’Adige. Poi serve una svolta di mentalità: non si può iperprodurre”.

Ma la vede nera perché i rossi si vendono meno?

“No, i rossi di qualità si vendono ancora e bene. Io con il San Leonardo, ma anche con il mio merlot in purezza, il Villa Gresti, non ho alcun problema. E altri produttori di qualità mi dicono la stessa
cosa. Il guaio qui è la produzione massiva. Ce n’è troppa e troppo trascurata”.

Colpa dello strapotere delle cantine sociali?

“Intanto non generalizziamo. Le cantine cooperative hanno dei problemi, ma il primo problema è che continuano a pagare l’uva in quantità, basterebbe passare ad una redditività garantita a ettaro ai coltivatori purché rispettino i parametri qualitativi. Il problema qui in Trentino è di dare un brand territoriale ai grandi rossi, di sostenere la viticoltura di qualità. Noi con il progetto Villa Imperiale, il vino è stato finora vendo fori dall’Italia ma con la prossima vendemmia saremo presenti anche nella grande distribuzione nazionale, abbiamo scoperto che Cavit ha grande professionalità e grande tecnologia. Ed è un colosso cooperativo. No il problema non è chi fa il vino, ma come lo si fa”.

Eppure il Trentino come territorio ha un’ottima immagine...

“Appunto. Il fatto è che si è puntato sui vini cheap. Io per esempio alla Casa del Vino ho detto ai produttori: vi venderemo solo le bottiglie di qualità. E ha funzionato. Qui va realizzato un incontro
vero tra prodotto e mercato, bisogna stimolare la sano competitività interna, uscire dalla logica dei contributi. E allora la crisi non farà più pura perché abbiamo i mezzi e le capacità per superarla”.

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