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Libero

Da Predappio a Bertinoro Alle origini del Sangiovese … Viaggio ai piedi dell’Appennino Tosco-Romagnolo alla riscoperta di un vino stupendo come la sua terra… Non osi separare la Storia ciò che il vino ha unito. Potrebbe essere questo il comandamento da scrivere a caratteri cubitali tra i filari di Sangiovese che s’inerpicano improvvisi dalla pianura a solcare i contrafforti dell’Appennino Tosco-Romagnolo. Sì perché cominciare un viaggio alle origini di questo vitigno bizzarro e stupendo proprio da Predappio pub far storcere il naso a chi non ha ancora fatto pace con il passato. Stupisco nel vedere un muto pellegrinaggio che va verso il cimitero di questo borgo romagnolo, sanguigno e bellissimo. Mi dicono in confidenza, quasi sussurrando, che sono più di 150 mila all’anno quelli che vanno a visitare il famedio di Benito Mussolini. E per decenni Predappio e il suo magnifico vino si sono portati addosso l’ombra lugubre delle contraddizioni della Storia. Tant’è che in piazza a Predappio resta - bellissimo monumento di archeologia industriale - inerte e muta la sede storica della Cantina Sociale che invece dovrebbe diventare il fulcro del rinascimento enologico della Romagna in vigna. Ma perché partire proprio da Predappio? Perché il vero Sangiovese di Romagna ha qui, su questi pochi ettari di vigne, la sua vera culla. Lo hanno riconosciuto di recente ridisegnando i profili della Doc Sangiovese di Romagna, divisa in sette sottozone, e i produttori predappiesi, pochi, puntano ora ad ottenere la Docg. Magari spartendo gli onori con Bertinoro, altra meravigliosa terra da vino di questa Romagna alternativa al profilo del divertimentificio riminese e costiero, dove non sarebbe nessun azzardo attribuire all’Albana, vitigno bianco ubertoso e difficilissimo da vinificare al meglio, altrettanto riconoscimento qualitativo: tanto all’Albana ferma che ha quel colore di paglia e quel sentore d’acacia incantevole con i pecorini di queste terre e i sardoncini a scottadito, quanto all’Albana passita che è un miele in forma di vino. Sono ragionamenti che si sentono sussurrare in una sub-regione, la Romagna appunto, dove il vino è un tratto identitario. Vuole un antico adagio infatti che sia proprio il consumo bacchico a connotare questo universo inquieto di paesaggi bellissimi, di storie tragiche e di sanguigne contese, di bellezze d’arte ascose e pure magnificenti. Si disputa da sempre dei confini della Romagna. Ebbene il pragmatismo li ha posti da Bologna fuori porta San Vitale. Li si concentravano le osterie e si dice che la Romagna comincia là dove se chiedi da bere invece dell’acqua ti danno il vino. Se questo è folclore è anche però vero che un via o nelle terre del Sangiovese non pub che partire dai collidi Imola. Lì si incontrano i primi giacimenti di Sangiovese come s’incontra a Dozza, nella turrita fortezza con il suo mastio cilindrico, con le case che hanno i muri dipinti, l’Enoteca regionale dell’Emilia Romagna. Da lì in poi (e siamo a una quindicina di chilometri dalle Due Torri) è tutta terra di Sangiovese. Ma non è tutto Sangiovese eguale. Che quello di pianura è acidulo, beverino, mentre in collina si inspessisce, diventa profondo, un elogio di viola mammola e marasca, un sottofondo di terra e di bosco. Così da Faenza, la capitale della ceramica, si comincia a sentire un Sangiovese più meditato, che diventa pensiero stupendo da Predappio in giù verso i colli di Castrocaro e poi di Coriano sulle alture che dominano Rimini. Tra le capitali del Sangiovese certo non si pub dimenticare anche Bertinoro e ancor meno conviene obliare Castel Bolognese. Sono queste terre ravennati, mentre il grosso del Sangiovese si concentra nel forlivese e nel cesenate, e vi è una ragione storica della quale vi narrerò, deputate a dare vini più solari, più espliciti. E del resto la Romagna medesima, per scimmiottare Giulio Cesare, est omnis divisa in partes tres, tripartita: ché quella imolese è felsinea dunque morbida e gaudente, quella di Ravenna è bizantina dunque elegante e sfuggente, quella di Forti è anarchica, dunque forte e indomabile. Non sembri un paradosso, ma anche i vini, e il Sangiovese in particolare. hanno questi medesimi caratteri. Che si formano anche attraverso vestigia storiche: come a Brisighella (incantevole borgo medievale con quella via degli Asini che è un unicum) a Bertinoro con quella colonna dell’amicizia che è un paradigma esistenziale in forma di architettura, a Forlimpopoli dove troneggia finalmente Casa Artusi a restituirci la memoria e la prassi della vera gastronomia italica in nome e per conto di Messer Pellegrino. Ma i veri monumenti al Sangiovese sono due: la Ca’ de Zanvez che se ne sta nel centro di Ravenna e quella cantina sociale ormai vuota di Predappio. Il resto è attualità con un vino che cerca di tornare grande, come i suoi natali meritano. Ma parlando del Sangiovese di Romagna non si può non ricordare Alteo Dolcini: lui è stato l’artefice dei vini del Passatore, lui ha messo insieme le varie Ca’ del Be’, da lui forse bisognerebbe ripartire per ridare una compiuta identità a questo vino. Che non pub prescindere per affermarsi e per farsi comprendere dalla nobiltà delle sue terre finalmente abbandonando panni falsamente popolareschi che ne deprimono il profilo qualitativo. Impresa non facile a farsi in una denominazione che è plurima e che conta oltre seimila ettari di produzione con 192 imbottigliatori, ma con dieci cantine sociali che da sole coprono oltre l’80% della produzione. Eppure sul Sangiovese di Romagna qualcosa, anzi molto si sta muovendo. Sono le nuove antiche cantine familiari che si sono date a puntare sulla massima qualità (anche quella fu inquisizione di Dolcini e da sempre l’ha predicata il primo moderno propugnatore del Sangiovese: Gianfranco Bolognesi che o se ne sta con la sua nuova Frasca a Milano Marittima, ma che per decenni con le sue Due Stelle Michelin da Castrocaro ha spinto fino all’inverosimile il connubio alta gastronomia di territorio con alta qualità enologica), sono i nuovi profeti del grande vino di Romagna, come Andrea Muccioli a San Patrignano, a disegnare il nuovo profilo del Sangiovese che non è più vino da piadina, ma che con le “riserve” può ben puntare a diventare “l’altro Brunello”. E del resto la disputa sull’origine del Sangiovese tra Toscana e Romagna non si è mai sopita. I romagnoli le rivendicano la primizia, ma la storia indica che la verità sta nel mezzo. Terra del Sole e la medesima Castrocaro (imperdibili) e Predappio, erano i possedimenti medicei della Romagna Toscana. Da Bagno di Romagna - nell’incanto delle foreste casentinesi - si traguarda la Verna e Camadoli e dunque probabilmente il Sangiovese portato dai monaci ebbe una transumanza bivalente di qua e di là dall’Appennino. Storie dunque che sfumano nella leggenda. Un motivo in più per farsi affascinare da questo enigmatico sublime sangue della terra”.

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