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Libero

Da Rocchetta Tanaro all’infinito È Barbera, ma pare Champagne … Sulle orme di Giacomo Bologna… “Di gloria il viso e la gioconda voce, garzon bennato, apprendi. E quanto al femminile ozio sovrasti la sudata virtude. Attendi attendi... “. Me ne parto dalla terra di Marche diretto là dove le sabbie antiche maturano vigne remote, nell’astigiano. Mi fa compagnia questo verso di Leopardi e non par strano che ragionando e pregustando di vino si possa chiedere alla poesia di illustrare una vicenda tutt’affatto peculiare: quella di Giuseppe Bologna. Era anche lui come Carlo Didimi, di Treia dove ancora si disputano epiche partite, un vincitore nel pallone. Attenzione, non del nostro spettacolarizzato, iperbolico, invadente calcio, ma del pallone col bracciale, o pallone elastico che ne è la variante langarola e monferrina. Uno sport ancora vivo e vero, uno sport di popolo dove per moneta quando va bene c’è una Raschera! Era Giuseppe Bologna cantiniere con un po’ di vigna e lo chiamavano allo sferisterio il Braida. Un soprannome che è diventato marchio, anzi è che è sinonimo di Barbera. Della grande Barbera. Giuseppe Bologna era il nonno di Raffaella e Beppe Bologna. Sono loro due i figli di un uomo del vino per il quale oggi mi servirebbe il genio leopardiano per dire ciò che si deve: Giacomo Bologna. Figlio del Braida e fratello di Carlo che gli somiglia come un grappolo di Barbera e che s’è dato a far l’oste qui a Rocchetta Tanaro. È una di quelle biografie familiari come nel vino se ne trovano poche quella dei Bologna, perché non c’è né blasone, né dinastia, ma solo immensa passione a tenerla insieme. Se intraprendo questo andare verso il limitare settentrionale della Langa, in un territorio che non è barolista, né aristocratico, ma di vigna popolare è per scandire un anniversario di quelli che contano se si ha a cuore la vigna e il mondo rurale, se si sa ascoltare il vino oltre la moda della degustazione, ma nella sua narrazione antropologica. Fanno quest’anno cinquant’anni dalla prima “Monella”. Ed ecco che riscappa Giuseppe Bologna, il Braida. Che cosa era la Monella? Niente altro che la botte migliore, chiamata così perché qui la Monella in famiglia è la figlia prediletta. Comincia con quella botte di “Monella”, una Barbera mossa che sa di fragola e di antico, che ha classe eppure franchezza, la parabola bella di Giacomo Bologna. Che da papà Giuseppe apprese l’amore per la vigna e che dalla sua testarda intelligenza si fece guidare a cambiare i connotati di quel vino da osterie e da trani. Giacomo Bologna, se n’è andato nel ‘90e fu un dolore vivo per tutti coloro i quali amavano il vino, perché veniva meno un grande vignaiolo, ma anche un carattere franco e un sorriso aperto al mondo, non prima però d’aver dato nobiltà definitiva alla Barbera. Lo fece passando dalla botte grande alla barrique, lo fece selezionando le uve, lo fece producendo due bottiglie spettacolari: il Bricco all’Uccellone “Ai Suma”, ci siamo: il vino che volevo. Così se Gaber cantava Barbera e
Champagne, oggi stappando questa cinquantennale Monella mi vien da dire Barbera è Champagne! Quando Giacomo è passato a coltivare la vigna celeste, sua moglie Anna ha preso le redini dell’azienda e poi è toccato a Raffaella e a Beppe (si chiama Giuseppe come il nonno), entrambi enologi, continuare la mitica storia di Braida. Che oggi è una cantina gioiello e un vigneto di 70 ettari di cui una cinquantina in produzione dove si fa quasi esclusivamente Barbera, tranne alcuni bianchi comunque impeccabili e il Bacialè (sarebbe il sensale dei matrimoni) che è uno sposalizio della Barbera con vitigni internazionali. E mi pare ora che sono all’ombra della Rocchetta degli Incisa (furono i signori di questo borgo, grandi enologi e non a caso i discendenti, a Bolgheri hanno fatto nascere il Sassicaia), ora che lo sguardo si perde in queste colline che sono il parco fluviale del Tanaro intenso di colori, vivo di profumi, estasiante di paesaggio che sì, davvero, nelle bottiglie
di Braida ci sia l’anima di questa terra e della sua gente. Magari anche un po’ Monella, come da mezzo secolo quella Barbera vivace va dicendo al mondo (Braida esporta quasi metà delle sue 400 mila bottiglie). E ora nel cinquantenario ci saranno bottiglie speciali ci saranno 50 degustazioni un po’ particolari in altrettante città d’Italia. Ma soprattutto ci sarà quell’immancabile salame che Giacomo affettava con un sorriso largo, in queste stanze di famiglia ingombre di barrique e colme di ricordanze, levando un calice di Barbera, che è il sangue di questa terra, con quel saluto “Ai Suma”. Ci siamo, ancora come cinquant’anni fa, come mi vien da dire per sempre tra vigne che sembrano puntare all’Infinito.

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