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Libero

La cucina e la crisi … Fioccano i premi, ma i clienti disertano. È l’autoreferenzialità enogastronomica … Il circo Barnum dell’enogastronomia in questa settimana ha piantato il suo tendone a Milano. In via Gattamelata si sono alternati alcuni dei cuochi più famosi d’Italia con inevitabile codazzo di sponsor, di gridolini d’entusiasmo, di giornalisti
e fotografi. I cuochi raccontavano agli altri cuochi come far da mangiare. Insomma un corso di aggiornamento professionale a pagamento. C’è chi ha presentato come innovazione pane, burro e un lampone. Chi ha fatto vedere come si fa la pizza e chi ha stupito con colonne sonore acid, immagini al computer. Tutto bello. Mancavano le cuoche e l’organizzatore ha spiegato che le donne fanno una cucina confortevole, ma non d’avanguardia. Massimo Bottura, per contro, è stato insignito del titolo di migliore cuoco del mondo dalle Accademie della Cucina. Ora è bene si sappia che l’Accademia della Cucina, creatura benemerita di Orio Vergani nata al Bagutta di Milano, di solito non se la fila nessuno. Tranne quando serve a confermare ciò che i critici pensano. Ci sono stati anche premi di assoluto valore come quello che la cantina Petra, gestita fa Francesca Moretti figlia di Vittorio gran patron del gruppo Bellavista (come dire il meglio delle bollicine italiane), ha assegnato a Yoshihiro Narisawa, chef giapponese che ha il merito, lui sì, di portare nel mondo la vera cucina italiana Ma in tutta questa kermesse c’era un assenza pesante: quella del pubblico. La stessa che attanaglia i ristoranti. Non a caso la Confcommercio ha fatto sapere negli stessi giorni che i consumi si sono ulteriormente ridotti nell’ultimo trimestre dello 0,6% e che la botta più dura è toccata proprio ai ristoranti. Si salvano solo quelli che fanno cucina confortevole, che non piace ai critici, ma sfama ancora l’Italia. A questo punto per evitare di perdersi dietro gli effetti speciali è giusto chiedersi se non sia venuto il tempo di domandarsi come salvare. Se l’enogastronomia non esce dalla sua autoreferenzialità e non comincia a misurarsi sul terreno della disponibilità economica dei clienti sono dolori. Non è con gli effetti speciali che si difendono le imprese e il valore dell’enogastronomia. Perché mentre noi ci balocchiamo i francesi, nel solco della tradizione, vedono la loro cucina riconosciuta come patrimonio culturale, hanno l’Iva più bassa e crisi o no continuano ad avere i ristoranti pieni e a portare i loro prodotti in giro per il mondo.

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