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Libero

Paradigma Montalcino … Italico vizio: negare le leadership nei territori del vino d’eccellenza… I dati i dicono che per il vino italiano torna a tirare l’export - non con la medesima velocità su tutti i
mercati e non per tutti - ma non il mercato interno. Tuttavia il comparto enoico è ormai l’architrave del fatturato agricolo italiano e i suoi valori aggiunti sono imprescindibili per quello che, con frusta approssimazione, chiamiamo made in Italy. Per paradosso però il vino continua a non prendersi sul serio. Si balocca e intanto è indietro nel marketing, ancora di più nel sostegno all’export, nella distribuzione, nella dotazione finanziaria delle aziende, nelle dimensioni. Ma c’è un elemento ancor più preoccupante: in Italia non c’è il riconoscimento delle leadership nei territori d’eccellenza, anzi si fa di tutto per distruggerle. Sarebbe come se il sistema moda sparasse contro le griffes affermate,
sarebbe come zavorrare al ribasso nella meccanica o nell’elettronica alcune nostre imprese che sono
player mondiali. Ma nel vino si fa di tutto per fare posto, non emulando ma ignorando i leader, a
chi spesso non ha né i connotati economici né le caratteristiche qualitative per emergere. In ciò contraddicendo la nascita stessa delle Doc - tranne quelle proliferate a dismisura per clientela politica e che infatti soffocano per la crisi - che si sono determinate attorno ai produttori di punta dei singoli territori. È un vizio italico che sta distruggendo il valore della nostra agricoltura di qualità quello di considerare le nicchie: l’enogastronomia ha bisogno di economia, di fatturato, di spalle forti. Il caso del Brunello è paradigmatico. In occasione del prossimo “Benvenuto Brunello” si sono
letti articoli che magnificano piccoli produttori e ignorano la realtà e verità economica di Montalcino. Che infatti ha mostrato preoccupanti debolezze in una recente non felice stagione e che sta risorgendo per la spinta dei leader del territorio. Il Brunello è nato grazie ai Biondi-Santi, fino agli anni Ottanta era un vino di nicchia e pochissime aziende – Poggione, Fattoria dei Barbi finché
a guidarla è stata Francesca Cinelli Colombini una leader anche come personalità, Costanti, Col
d’Orcia per dirne alcune - avevano mercato, mente il grosso del vino si vendeva a damigiane. Fino agli anni Settanta la superficie vitata a Brunello era inferiore ai 600 ettari. È stato l’avvento della Banfi con la pervicace lungimiranza di Ezio Rivella a creare il fenomeno Brunello. E questo per tre ragioni fondamentali: la prima che i Mariani hanno aperto i mercati internazionali, la seconda che avevano la massa critica di produzione e di fatturato per stare su quei mercati, la terza che Rivella ha introdotto nuove tecniche e tipologie di produzione. Dietro alla Banfi poi Montalcino è cresciuto consentendo anche ai piccoli produttori di approdare - con giusto impegno, merito e fatica - ai successi degli ultimi due decenni. Ma negare la leadership storica di Biondi-Santi e quella produttiva di Banfi è esercizio masochistico che sfocia nel comico quando per farsi un po’ di posto
sotto i riflettori si inventa un convegno sul Brunello vino dell’Italia unita dimenticandosi che la prima bottiglia del vino di Montalcino è comparsa sul mercato un quarto di secolo dopo. Ciò che vale per Montalcino purtroppo però accade anche altrove: così è per il Sagrantino di Montefalco,
così si è rischiato in Sicilia, così è capitato nei territori dell’Amarone e del Prosecco. Con una perdita di autorevolezza dei Consorzi e con una incapacità di legare a sistema il vino d’eccellenza con i territori. Davvero dai francesi - che hanno i grand cru classeé, riconoscimento esplicito delle leadership - non abbiamo imparato nulla. Ma la verità è immodificabile: non ci sarebbe Brunello
senza Montalcino, senza Biondi-Santi e senza Banfi che hanno incarnato e impinguato il territorio,
mentre Montalcino esiste al di là del Brunello. Perciò sottacere il valore dei territori e negare le leadership produttive e qualitative è esercizio forse furbesco, certamente perdente.

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