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Libero

Quei Colli Orientali dove il vino è storia … Non solo “Friulano”, ma anche rossi eleganti e passiti d’intima dolcezza… Proietta la sua ombra austera sulla glauca facciata del duomo, la statua di Giulio Cesare che in questo marzo d’arie di vetro pare una meridiana della memoria. Sta Cividale arroccato sulla riva del suo orrido, la profondissima gola che il Natisone da tempi eterni scava. Il tempo è la dimensione sospesa di questa città dove tutta la Storia pare darsi convegno e si fissa in
una contemporaneità. È Cividale di per sé una macchina del tempo: fatta di pianciti in sampietrino, di facciate marmoree, di bifore gotiche, di eredità celtiche e longobarde, di un museo tra i più affascinanti dove gli statuti, le leggi e i rogiti sono narrazione ancora attuale di un divenire sociale ed economico. È un onfalos, l’ombelico di un mondo questa città dai bei palazzi patrizi e forse non è un caso che anche il Consorzio dei Cof (i Colli Orientali del Friuli) abbia sede in una casa nobiliare di quasi settecent’anni fa. Ci sarebbe di che ragionare che Cividale non è baricentrica a quella sciarpa di colline che da Attimis si snoda, convessa verso oriente, fino a Prepotto, a Rosazzo e include alcuni dei più bei paesaggi di questa terra benedetta e ascosa, austera e gentilissima che è il Friuli. Ma perché partire da Cividale per ragionar di vini. Perché quella statua di Giulio Cesare mi ricorda che qui ebbe origine, un mezzo secolo prima che il Nazzareno si facesse uomo, il Forum Juli: il Friuli appunto assolutamente fiero della sua discendenza da Cesare. E prima ancora i Celti
e successivamente i longobardi e poi i patriarchi di Aquileia (bellissima) e ancora la Serenissima Repubblica di Venezia, che tra questi colli ha lasciato ovunque il leone di San Marco stilita a mo’ di brand territoriale, in ultimo gli Asburgo hanno stratificato presenza e sapienza. Ma la vigna qui s’estende a segnare l’orizzonte da almeno tremila anni. Ve la portarono le migrazioni turche. La rinsaldano i romani che diffusero pure l’olivo e poi toccò ai benedettini di Rosazzo rimettere in coltivazione il sangue della terra dopo che gli Ungari e gli Unni avevano fatto strage dei longobardi e dei loro presidi di civiltà. È un vino diverso quello dei Colli Orientali, perché prima di tutto profuma di Storia. E mi perdo a inseguirli questi filari nei roccoli stupendi di Rocca Berbarda,
nelle pendici del Castello di Spessa e poi ancora a Buttrio e Manzano. Borghi che sembrano la reminescnza delle ville romane, borghi vigilati dai castelli dei principi vescovi, borghi dove le badie e i monasteri sono stati le spore della civilizzazione. Udine – una delle più belle città d’Italia con quel castello ingentilito dal portale dei Bolani, con l’orologio che troneggia la piazza, con la dovizia
d’osterie e di accenni ora romanici ora barocchi e portici bassi che paiono più alcove che non passeggio - non è lontana, lontanissimo appare, anche se è a due passi perché i Colli Orientali sono contigui al Collio, il confine sloveno come se vi fosse una cesura di civiltà appena oltre il Natisone, come se quel fiume fosse una frontiera liquida e insieme solidissima. Andar per cantine e per vigne in questo Friuli profondo e appena primaverile è inebriante. S’incontrano vini di elegante concretezza. Trionfa il Friulano (quel Tocai che era vino di popolo e ora è bianco da degustazione
intensa e multiforme, ora colta e intima, ora sbarazzina e amicale, ma comunque stupefacente, uno dei più grandi bianchi del mondo), ma alcuni rossi come il Refosco, il Pignolo, il Merlot esaltano una peculiarità dei Colli, d’essere terroir capace di caratterizzare e di plasmare il vino con tocchi
di intensa mineralità, e li differenziano dallo stereotipo che vuole questa regione capace di dare solo bianchi. E poi c’è quel tris di passiti che è come un crescendo d’opera: Ramandolo ambrato, Verduzzo agrumato, Picolit assoluto. La complessità di questo territorio la densità di questa Storia si traducono così in vini che hanno lo spessore della memoria e il respiro della gioia. Quella che si prova facendosi curiosi di queste terre.

Le Bottiglie

Livio Felluga Terre Alte… Uno dei massimi bianchi italiani, sapiente uvaggio di Friulano con Sauvignon e Pinot Bianco. Ha classe pari alla potenza e alla lunghezza. Bottiglia rara (euro 40).

Bastianich Calabrone… Tre autoctoni (Pignolo, Schiopettino e Refosco prevalente) e una goccia
di Merlot per un rosso di velluto al palato e balsamico al naso (euro 40).

Dario Cos Pignolo… Elogio del territorio con questo rosso che esalta il Pignolo. Profondo e accattivante con note di frutta rossa e rosa appassita. Quasi un atto d’amore (euro 22).

Le Vigne Di Zamò Friulano 50 Anni… Bianco territoriale, un Friulano ampio, ben agrumato incantevole con il finale amaricante. Lungo al gusto sostenuto da mineralità (euro 24).
Scubla Cratis… Verduzzo che rivela note di frutta esotica in contesto di miele con note lievemente balsamiche. Uno dei grandi passiti dei Colli Orientali (euro 30).

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