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Libero

Zonin: “Piccoli produttori, coop e industria devono lavorare assieme” ... Parla il re dei vigneti... Gianni Zonin è il signore del vino italiano. Veneto fino alla punta dei capelli: un mix tra gentilezza
d’animo, serietà ai limiti dell’introversione e impegno border line dallo stacanovismo. Sta nel vino da oltre mezzo secolo e ha portato l’azienda di famiglia dal buon reddito dei tempi dello zio Domenico (il fondatore, più di cent’anni fa) ad essere uno dei primi gruppi vitivinicoli europei
con oltre 1800 ettari vitati in Italia nei migliori terroir: dal Piemonte alla Sicilia passando per Toscana, Puglia, Friuli e ovviamente Veneto, una significativa enclave a Barbousville in Virginia, e accordi commerciali con tutti i paesi del mondo. Quando tutti piantavano a Cabernet e Merlot lui ha rilanciato gran parte degli autoctotoni: dal Refosco alla Croatina, dal Vermentino al Primitivo, dal Nero d’Avola alla Barbera e al Dolcetto, fino al Sangiovese che a Castello d’Albola (uno splendore) gli ha dato enormi soddisfazioni. A significare ciò che ha sempre predicato: il vino si fa con la terra e il vino è espressione della terra. Declinato con un altro credo: far bere bene gli italiani quotidianamente. Quasi 50 milioni di bottiglie vendute, export in crescita esponenziale. La seconda faccia della medaglia del “Cavaliere del vino” è il suo impegno come banchiere al vertice della Popolare di Vicenza, banca che è cresciuta e molto nell’ultimo ventennio. Eppure per una volta si lascia andare ad un commento bartaliano: l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!

In che senso Cavaliere?

“Nel senso che siamo davvero un gigante dai piedi di argilla. C’è un bailamme nella promozione: andiamo in venti tutti nello stesso posto e buttiamo via i soldi. Andiamo in ordine sparso in Europa e ora vogliono liberalizzare i vigneti. Mi auguro che ci facciamo sentire, che anche il governo si faccia sentire, e che prevalga il buon senso. Abbiamo dei Consorzi di tutela dove le volontà vengono espresse una testa un voto e non sono più rappresentativi. In ogni territorio vitivinicolo ci sono almeno tre categorie: un terzo di piccoli produttori, un terzo di Cooperative e un terzo di industriali imbottigliatori. Dovrebbero essere rappresentate tutte queste categorie e i voti andrebbero pesati piuttosto che contati. Invece finisce sempre che la cooperazione fa la voce grossa. Il risultato? Abbiamo dei disciplinari, in alcuni casi, che sono lontanissimi dal mercato”.

Ecco fatto il programma per una discussione forte al Vinitaly che si apre tra quattro giorni.

“Credo che il tema centrale dovrebbe essere proprio questo: come far diventare sistema un settore dalle straordinarie potenzialità. Abbiamo esportato enti milioni di ettolitri, siamo il primo paese produttore, abbiamo una qualità alta e diffusa, ma abbiamo troppe debolezze. Nel vino io ci ho speso una vita e mi accorgo che nonostante i successi siamo ancora al punto in cui ognuno pensa al suo orticello. Mentre gli altri - e non penso solo ai francesi - si organizzano e vanno alla conquista dei nuovi mercati”.

Ma per la famiglia Zonin quest’anno è andata benissimo, viene da notare.

“E questo mi dà titolo a dire smettiamola di pensare al particulare. Noi abbiamo avuto incrementi forti nell’export, abbiamo investito in ricerca e in marketing, abbiamo perseguito la massima qualità al giusto prezzo. Il mercato ci premia. Ma la debolezza di sistema penalizza tutto il comparto”.

E come va questo comparto?

“All’estero decisamente in ripresa, ma il mercato interno soffre. Va curato di più. Se avessimo unità d’intenti le campagne di demonizzazione del vino non sarebbero passate. Pensiamo all’etilometro? Non abbiamo avuto la forza neppure di porre il problema della taratura degli apparecchi e della tolleranza scientifica nei rilevamenti. Faccio analisi del vino da anni e mai dico mai ho avuto dati assoluti. Possibile che l’etilometro non sbagli mai? E ancora: possiamo dire addio al vino in Italia dove il vino è bevanda nazionale, è cultura ed è economia? Ecco cosa mi preoccupa. Il vino sappiamo farlo, forse sappiamo anche un po’ venderlo (ma si può e si deve fare meglio), ma non sappiamo difenderlo”.

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