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Libero

Tra Prosecco e Cartizze la sfida allo Champagne … Da Valdobbiadene a Conegliano, il boom dell’oro paglierino continua… È diventato sinonimo di aperitivo. Un bene, si dirà. Certo a vedere i bilanci delle cantine, il numero impressionante di bottiglie. Ma in questa moda c’è - come sempre - un venticello maligno di alea: di rischio. Qualcuno s’è fatto prendere da eccesso di successo e cita , come se fosse una vittoria alle Olimpiadi, che presto il Prosecco supererà lo Champagne per numero di bottiglie vendute. Questo refrain è stato ripetuto con la convinzione che mostrare i muscoli, nel mondo del vino, serva a qualcosa. Sì se si guarda al vino legato ai punteggi delle guide, alle classifiche, sì se s’immagina un vino cosmetico. Ma per buona sorte il Prosecco è altro, è diversissimo da questo stereotipo modaiolo. Non a caso un vignaiolo di lungo corso, conoscitore dei meccanismi del mercato e dell’economia come pochi nel mondo delle cantine, il cavalier Gianni Zonin ha, con pacata fermezza, lanciato un monito: attenti che si può cadere se si corre troppo. In sostanza Zonin - ma anche molti dei produttori storici del Prosecco - hanno detto tre cose: equilibriamo la produzione secondo la domanda, manteniamo le distanze di prezzo e di valore tra Prosecco Doc e Prosecco Docg, continuiamo a produrre avendo in testa la massima qualità possibile. La vicenda del Prosecco è stranota: c’era il rischio che scippassero la denominazione. Poi l’ex ministro dell’agricoltura e ora Governatore del Veneto, la regione dove ci sono i giacimenti di questo oro paglierino che spuma nel bicchiere con profumi di primavera, ha trovato la chiave di volta. C’è in Friuli un paese che si chiama Prosecco ed ecco che la denominazione è passata dal vino al territorio mettendo il “marchio” al riparo dalle imitazioni. La legislazione protegge i marchi territoriali, non i nomi del vitigno. Ma per includere Prosecco friulano nei territori dello spumante più amato dagli italiani bisognava allargare la zona di produzione. Lo raccontiamo a beneficio dei consumatori che rischiano di capirci poco, anche se al bar continuano a chiedere il Prosecco per dire che vogliono l’aperitivo. Il Prosecco Doc è quello che si produce in una vasta area del Veneto e del Friuli, il Prosecco Docg è quello storico di Conegliano-Valdobbiadene (che ora si fregia in etichetta anche della dizione superiore) e il Cartizze è un cru di Prosecco Docg che si fa in una sola collina. Meravigliosa. Le decine di milioni di bottiglie si contano mettendo insieme tutto. Ma per andare alle origini del Prosecco Docg bisogna incamminarsi lungo la più antica Strada del Vino d’Italia e magari farlo in occasione di “Vino in Villa” che dal 21 al 23 maggio si tiene al castello (bellissimo) di Susegana: un festival di questo vino inimitabile (anche se imitatissimo). Ma solo un viaggio nelle terre del Prosecco tra quei colli trevigiani che dialogano con il mare di Venezia e le altezze delle Dolomiti che sono punteggiati di castelli (bellissimo quello di Collalto) che ammaliano con colori che vanno dal verde delle vigne, al cremisi delle montagne, dal dorato del vino al turchese di cieli sempre nitidi, dà il senso della autenticità del Prosecco. Dopo un viaggio in queste terre che profumano di boschi e che hanno ritmi atavici ci si rende conto che il Prosecco ha una nobiltà antica legata alle sue terre d’elezione. Che è ha declinato da sempre - Carpenè Malvolti vollero l’istituto agrario e qui Martinotti mise a punto il metodo di fermentazione in autoclave – tradizione e innovazione. Così al prossimo calice di Prosecco non confondetelo con un aperitivo. Perché quella spuma è, per dirla con Mario Soldati, la poesia della terra. Di una terra spumeggiante come il suo vino.

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