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Libero

Salento da mare ... Da Manduria fino a Santa Maria di Leuca: un viaggio tra gli ulivi alla ricerca del Primitivo per scoprire il fascino di una terra esoterica... La radio martella con l’ultimo bollettino di guerra dalle Borse. Ascoltandolo ci si sente reclusi nella fortezza Bastiani. Aspettando un nemico invisibile. Ma non sto traversando un “deserto dei Tartari”. Ho lasciato da qualche chilometro la litoranea che da Gallipoli porta a nord, a Porto Cesareo seguendo il profilo di quel mare smeraldino che è l’epico Jonio. La costa s’increspa in scogliere di Cornovaglia poi precipita nelle sabbie dorate e guardando l’orizzonte t’aspetti di vedere vele d’illiria che portano i fieri Messapi a fertilizzare questa terra di ruggine. I greci vennero dall’Adriatico, e avevano per nostromo Ulisse invelato dal mito, ma quando mi sono affacciato da quel bello assoluto che è Otranto che si orna in questi mesi della metafisica di Salvador Dalì, in una mostra imperdibile, quel mare che a questo estremo sud e ultimo oriente ha barbagli di zaffiro m’è sembrato domestico. Lo Jonio no - eppure è un oceano lago - freme di mistero. Sto traversando un contado macchiaiolo, le forme degli ulivi secolari pennellate arruffate sullo sfondo carminio delle zolle e le latomie di tufo e i muri a secco sono schizzi di materia sulla tela del Creato. Traguardo Manduria ed ecco un altro mare: sono le vigne di Primitivo. Ad alberello, a cordone speronato, a guyot, a tendone. Sono chilometri di grappoli viola. M’aspetta Pietro Pirro Varone per farmi degustare il più straordinario, dei già notevoli in generale, Primitivo di Manduria. È questo vignaiolo un unicum come lo sono i suoi vini (il Vigne Rare rosso da recuperata Grisola, il Vigne Rare Bianco da Fiano Minutolo e l’Artù un Negramaro spumantizzato di bevibilità incantevole) è tornato a far casa nel ghetto ebraico di Manduria da dove la sua famiglia, divenuta marrana, partì. Il suo Primitivo (ma anche quello della cooperativa di Sammarzano e di Castello Mmonaci) ha reso lievi i miei pensieri. E lui mi racconta: “Il Salento quest’anno ha fatto il +60% di turisti, Otranto addirittura +70”. Poi m’incammino per i vicoli del ghetto lieve ai sensi di quel “Pirro Varone” liquido al gusto, materico all’anima con ciliegia e prugna, tannino gentile ed espressione mediterranea e m’affaccio - dopo aver rimirato architetture che paiono sospese nei secoli con quella pietra ubiqua di tufo e di fatiche - alla gratadella minima fu Sinagoga. È un pugno nello stomaco: quello è il tempio delle origini e sento qui l’universale. Ci attanaglia la globalizzazione, ma non ha nulla di universale. Vorrei che la taranta pervadesse i signori dell’economia: avremmo un mondo migliore. Qui c’è un delirio antico che è fatto di esplosione di sapori, di profumi, di colori e di memorie. Questo è l’universale e questo mi spiega, pur nelle cento contraddizioni, il magnete Salento. Credo che si possa provare qui il deliquio della Blixen nelle savane: esiste ed è una febbre dell’anima il mal di Salento. Me ne accorgo arrivando per caso a Maruggio e alla Chiesa Matrice sento il mistero templare e dei Cavalieri Giovanniti che comandarono auspici i Normanni le immense Terre d’Otranto. Mi sovviene che nella vivacissima e abbacinante di iperboli architettoniche Lecce si diparte da piazza Sant’Oronzo che è il cuore civico, mentre la gaia movida anche gastronomica s’alberga oggi a piazza Mazzini, via dei Templari. E ora ho consapevolezza della malìa salentina: qui c’è un esoterismo manifesto che diventa dato antropologico proprio in questi giorni con il clou il 27 agosto a Melpignano con la notte della Taranta dove s’attendono oltre 200mila persone a consacrare ciò che il mondo ormai sa: la pizzica è il nuovo blues mondiale. È quella gricanica, enclave culturale di straordinario spessore. Questa è l’universalità del Salento che si appalesa nelle masserie cinquecentesche, nelle ville coloniali, nelle foreste d’olivo e ha il suo brutto contraltare nello scempio delle case da geometri, negli scheletri di cemento armato. Ma le contraddizioni ci sono anche in cucina. A Porto Cesareo, incantevole baia conchiusa, ho ascoltato il mare nei piatti dell’Aragosta e Co’ (sta per Cosimo lo chef, info: 0833/569533) un vero ristorante pied dans l’eau che fa gamberi aulenti, che ha buoni crudi e fritti spessi, lo sento sempre a Porto Cesareo da Cosimino (c/o l’hotel Falli: info 0833/569082) in uno scorfano e in una minestra di scorfano meravigliosi. Ma poi ancorché i frutti di mare qui siano stupendi mancano i vini. E anche l’olio soffre nella proposta gastronomica. Assurdo vero? Il Salento è terra d’olivi e di grandi vini: provate a Leverano gli Zecca, a Salice Salentino i De Castris, a Copertino i Due Palme a Scorrano i Duca Carlo Guarini, sono sinfonie di Negramaro, di Primitivo, di Malvasie Nere e Bianche eppure trovarli in tavola è difficile. E così vale per l’ospitalità: si passa dalla masseria extralusso (e spesso troppo leccata) al B&b un tanto al chilo. Ma al Salento si finisce per perdonare tutto assaggiando burrate e caciocavalli veramente podolici. Oppure inebriandosi del pesce di Gallipoli (meraviglioso il duomo, straniante il dedalo di vicoli, marineresca l’allure) dove per tutta la prossima settimana si celebra la festa del pesce spada e dove l’aperitivo si fa in pescheria con i crudi. Ma c’è un Salento ancora più elegante giù dove Jonio e Adriatico s’incontrano nell’immenso a Santa Maria di Leuca, bellissima. Fa parte del Salento tutto quello che fu Terre d’Otranto e dunque Brindisi e Taranto e le Murge meridionali. E ovunque c’è una suggestione al gusto e al profumo. Ecco squadernata l’universalità della penisola che è un triangolo: esoterico. Perciò un’albagia . Avvicinandosi a Nardò c’è una teoria di ville eclettiche, moresche, vittoriane. Furono villeggiature aristocratiche e dimore dei signori del tabacco, quando qui le foglie da fumo erano un Eldorado. Poi anche il tabacco è diventato globale. E le ville ora paiono ectoplasmi. Come Tara. Riascoltando la radio ho visto Rossella O’hara agitare la mano e sussurrarmi: “Domani è un altro giorno”. Domani è ancora Salento.

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