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Libero

Tutti i vini d’Europa sono figli di quelli italiani ... All’origine delle viti che danno le bottiglie più blasonate c’è l’Unno, piantato dall’imperatore Marco Aurelio Probo ai quattro angoli del Vecchio Continente ... Mi verrebbe da dire a Giovanni Negri: scusi, ma non si fa così. Possibile che proprio mentre Sarkò s’affanna a dimostrare che siamo i soliti italiani, possibile che mentre ci commissariano per via finanziaria lei scriva un libro che offende la grandeur francese? E afferma inequivocabilmente un nostro primato economico che vale nel Vecchio Continente più di una manovra lacrime e sangue e cioè un centinaio di miliardi di euro? Roba che se rivendicassimo il brevetto saremmo di colpo ricchi? Dico: non si fa a tempo a pigliare un po’ di fiato perché Bini Smaghi lascia la cadrega della Bce e i galletti d’Oltralpe ringalluzziscono e lei subito gli dà sto popo’ di calcione negli stinchi? Va bene che ha un passato da radicale, ma est modus in rebus! Perché mica fa piacere scoprire che lo Chardonnay non è francese manco per un po’ ed è nato dalle parti della Croazia, né che la Romaneé Conti - meno di due ettari di vigna dove si fanno bottiglie che vengono via per 1500 euro l’una a stare bassi - di francese non ha neppure il nome perché è la vigna di un imperatore romano e che i vitigni di tutta la Borgogna sono figli di un’uva da soldataglia. C’è di che far cadere un governo solido come quello dell’Eliseo. Perché in Francia, al contrario che in Italia, i vigneron contano. Eccome. E se nella loro grandeur s’in…alberano sono dolori per tutti. Eppure le cose stanno proprio così. All’origine della viticoltura europea c’è un solo uomo (e la fatica di molte migliaia di soldati) e un solo vitigno. Per nulla nobile. Anzi roba da popolaccio. Questa scoperta che è una sorta di rivoluzione geopolitica della vigna l’hanno fatta un pool di scienziati guidati da un italiano, il professor Attilio Scienza dell’università di Milano e da Carole Meredith americana. La scoperta è questa: alla base di settantotto vitigni coltivati in tutta Europa ce n’è uno solo: l’Unno! Nome che a noi pare volgare, anzi brutale. Ma che in realtà vuol dire semplicemente nostro, heunisch, nella lingua di ceppo tedesco che agli albori del terzo secolo dopo Cristo si parlava in oltre metà dell’impero romano. Contrapposto, manco a farlo apposta, a frankisch che vuol dire “altro”, nel senso di estraneo, diverso. Attraverso l’analisi del Dna di questi settantotto vitigni - dal Pinot al Sauvignon, dal Silvaner al Riesling, dal Lagrein all’Aligotè, dallo Chardonnay al Gamay - Scienza ha dimostrato che sono tutti figli dell’Unno. Ohibò! E ora le infinite discussioni su alloctono e autoctono? Le guerre di religione tra i difensori dei vitigni internazionali e i Torquemada della vigna di casa mia che fine fanno e che senso hanno? Mi viene da dire che ancora una volta, parlando di vino, ha ragione un francese atipico qual era Emil Peyneaud che scrisse nel suo monumentale manuale di degustazione “la qualità dei vini la determinano i degustatori, ma la qualità dei degustatori chi la fa?”. Per dire che spesso è tutto un darselo a intendere. Ma se Attilio Scienza ci ha messo del suo, e cioè la scienza, a dare fuoco alle polveri della polemica e a rinfrescare lo stantio scaffale delle false certezze del mondo del vino con un vento d’intelletto è l’autore di questo bellissimo, affascinante libro che è appena uscito nelle librerie ed è già un successo e un caso. L’autore è Giovanni Negri (firma il volume insieme a Elisabetta Petrini) il libro è “Roma Caput Vini” (edito da Mondadori: 216 pagine, 18 euro) ed è uno straordinario racconto del consumo di vino a Roma, ma soprattutto una lucida, affascinante biografia dell’imperatore romano Marco Aurelio Probo, l’uomo che in sei anni di “regno”diffuse in tutta l’Europa del Nord la coltura della vite. Meglio di una sola vite: l’Unno. Il libro narra di come attraverso questo vitigno selezionato nelle terre d’origine dell’Imperatore (l’attuale Belgrado) Probo abbia imposto ai legionari-vignaioli di segnare i confini dei suoi possedimenti lungo il Reno, la Mosella, il Danubio. Ma è anche un acuto saggio di geopolitica che racconta come sul finire del 200 D.C. il baricentro dell’Impero fosse spostato a Nord e come la vite (il vitis del resto era il segno del comando dei Centurioni) sia stata per Probo l’arma atomica per tenere buone le popolazioni. Di Marco Aurelio che cancella di colpo l’editto di Domiziano (aveva imposto di spiantare le vigne fuori dall’Italia per piantare grano) molto si sapeva e molti in tutt’Europa gli rendono omaggio come l’uomo della di vino provvidenza. Ma non se ne era compresa l’importanza politica ed economica. Fino a questo libro di Giovanni Negri, fino allo studio di Attilio Scienza. Un libro, come recita il distico di copertina, che racconta una storia “che gli italiani non sanno e i francesi vorrebbero non sapere”!

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